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I migliori film di Terry Gilliam: la nostra top 5

“Viviamo in un mondo così legato ai numeri e ai calcoli che è quasi difficile vivere la propria fantasia. È più semplice dedicarsi ai numeri e parlare di essi. Noi abbiamo bisogno di entrambi i fattori, di vivere la nostra immaginazione. Io lo faccio attraverso il cinema, mentre altri impazziscono. Mi piace pensare di fare dei film che spingano le persone ad esplorare la propria immaginazione e – alle volte – credo di dare conforto a chi crede di essere l’unico pazzo al mondo e che – dopo avere visto i miei film – sa che ce ne è almeno un altro.”

È con queste parole che il regista Terry Gilliam parla della propria arte, da sempre in bilico tra generosità e bulimia, sogno e sperimentazione, eccessi sfrenati e tenerissime ambizioni: un mosaico di stimoli e bisogni primari che fanno del suo cinema uno dei mosaici più inventivi e irregolari, ma anche più spericolati e e avvolgenti, del cinema postmoderno e non solo.

Unico membro americano del gruppo comico britannico dei Monty Python, con i quali ha contribuito a incidere un solco senza ritorno nell’idea moderna di comicità sulfurea, surreale e sopra le righe, Gilliam ha rifiutato in tempi più recenti alla cittadinanza americana e dei Python era autore e animatore dei cartoni animati fuori di testa che intervallano lo show Monty Python’s Flying Circus.

I suoi film da regista, spesso difficilmente catalogabili e sfrenati nella forma e nei contenuti, hanno segnato in profondità più di una generazione di spettatori e tra qualche giorno, il prossimo 27 settembre, uscirà nelle sale italiane il suo ultimo film, L’uomo che uccise Don Chisciotte: un progetto atteso oltre vent’anni, che finalmente è arrivato sul grande schermo (al link sul titolo la scheda per leggere cosa ne pensiamo).

Di seguito potete però trovare quella che, a insindacabile giudizio della redazione, è la top 5 di LongTake del cinema di Terry Gilliam.

5. La leggenda del re pescatore

La leggenda del re pescatore

Prima pellicola in cui Terry Gilliam firma la regia ma non la sceneggiatura, La leggenda del re pescatore rappresenta un “nuovo esordio” per l’autore di Brazil (1985): rispetto ai suoi lavori precedenti il suo stile si fa più incisivo, meno frivolo seppur sempre visivamente ardito. Il regista (intelligentemente) decide di non sovraccaricare troppo la pellicola con inserti “sopra le righe” e, pur rimanendo fedele alla propria idea di cinema, lascia il giusto spazio alla notevole sceneggiatura di Richard LaGravenese con cui costruisce una moderna fiaba medievale dove, sullo sfondo dei bassifondi di un New York inedita, trovano spazio cavalieri, combattimenti con frecce di gomma, calici magici e dolci “donne d’angelo” dal fascino irresistibile.

Leggi qui la recensione completa del film.

4. Paura e delirio a Las VegasPaura e delirio a Las Vegas

Dopo due film su commissione tremendamente riusciti (La leggenda del re pescatore del 1991 e L’esercito delle 12 scimmie del 1995), per i quali non scrisse la sceneggiatura e per i quali mise la museruola al suo stile iper-surrealista, Terry Gilliam recupera il libro semi-autobiografico Paura e disgusto a Las Vas Vegas di Hunter S. Thompson, l’inventore del cosiddetto Gonzo Journalism, e torna ai suoi barocchismi visivi, sempre in bilico tra grottesco e trash. In Paura e delirio a Las Vegas, l’esuberanza registica di Gilliam e il suo surrealismo sfrenato risultano totalmente funzionali alla descrizione del caos lisergico in cui si muovono i due protagonisti, tra un acido e una dose di mescalina. Il ritmo è ottimo e i due protagonisti calzano perfettamente i ruoli che gli sono stati assegnati.

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3.  Monty Python – Il senso della vitaMonty Python's Il senso della vita

L’ultimo e più celebre film dei Monty Python, girato prima che ogni singolo membro del gruppo si dedicasse a progetti individuali, è, con ogni probabilità, anche la loro opera più riuscita. Dopo due pellicole assimilabili al cinema classico (Monty Python e il Sacro Graal del 1975 e Brian di Nazareth del 1979), con un plot, degli attori con dei ruoli fissi e una storia che iniziava e si esauriva in 90 minuti, John Cleese e soci tornano alle loro origini: riprendono il linguaggio televisivo che li aveva lanciati e assemblano schegge di satira nonsense di pochi minuti, disinteressandosi di creare legami narrativi tra di esse. Spesso i tempi comici, perfetti per le gag televisive, soffrono la lunghezza “cinematografica” e il ritmo latita, ma questa volta la maturata potenza registica di Terry Gilliam, unita alla grande ispirazione comica di alcuni episodi (si pensi al cortometraggio iniziale The Crimson Permanent Assurance), porta a un altissimo livello di satira intelligente sull’occidente e la sua cultura negli anni ’80.

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2. L’esercito delle 12 scimmie

L'esercito delle 12 scimmie

Ispirato al celebre cortometraggio sperimentale La jetée (1963) di Chris Marker, il secondo film “hollywoodiano” di Terry Gilliam (dopo La leggenda del re pescatore, del 1991) rappresenta una delle vette della sua seconda vita artistica: abbandonati gli eccessi degli anni ’80, il regista naturalizzato britannico ha evoluto il suo stile verso atmosfere meno surrealiste e più cupe, seppur sempre personali e facilmente riconoscibili. Angosciante esempio di fantascienza filosofica e perfetta incarnazione delle paranoie da “pre-Millennium Bug”, L’esercito delle 12 scimmie rappresenta uno dei più interessanti esempi di cinema mainstream di fine Novecento, tra bisogno di intrattenimento e ampie concessioni alla poetica del regista.

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1. Brazil

Inizialmente si doveva chiamare 1984 ½ , così da omaggiare in un colpo solo George Orwell e Federico Fellini, due delle tante fonti d’ispirazione di Brazil, per molti il miglior film in assoluto di Terry Gilliam, finalmente libero di volare via dalle ciniche baracconate dei Monty Python e aprirsi a umori più cupi, attraverso un approccio originale e di enorme spessore cinematografico. Se da un punto di vista narrativo e tematico il film non aggiunge molto rispetto ai classici (letterari e cinematografici) del genere, è dal punto di vista della regia e della messa in scena che risulta, ancora oggi, un insuperato capolavoro fanta-grottesco: Gilliam dà libero sfogo al suo genio visivo, frullando Metropolis (1927) di Fritz Lang, psichedelia, luci espressioniste, costruzioni bric à brac, futurismi steampunk e venature acido-kitsch, riuscendo a fondere in chiave postmoderna alto e basso, sacro e profano, tragedia e farsa, sentimento e dramma, come nessuno (o quasi) era mai riuscito prima. Robert De Niro, qui nella parte di un bizzarro idraulico che scompare sommerso da fogli di carta da giornale, e la madre del protagonista, che si sottopone ad una operazione di plastica facciale facendosi allungare la pelle a dismisura, sono frammenti che non si dimenticano.

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