Un’oscura odissea sull’alba della coscienza artificiale e sull’evoluzione del peccato.
Il fenomeno Westworld sta prendendo sempre più piede. E, sinceramente, non ci si poteva aspettare di meno da una serie scritta da Jonathan Nolan e Lisa Joy e prodotta da J.J. Abrams. Ma perché, proprio oggi, Westworld? Stiamo parlando di una serie tv che allo stesso tempo mescola videogioco, reality show e intelligenza artificiale, portando avanti una potente riflessione sul senso dell’intrattenimento nel nuovo millennio.
Tuttavia non ci troviamo di fronte a un’idea originale.
Sicuramente agli spettatori più attenti (specialmente quelli anglofoni) non sarà sfuggito un dettaglio: Westworld fa rima con… Westworld, titolo di una pellicola del 1973 scritta e diretta da Michael Crichton (in italiano reso con il canonico Il mondo dei robot). I credits d’apertura della serie citano l’esordio alla regia del celebre scrittore e noi vogliamo focalizzarci su cosa accomuna queste due opere, con un occhio di riguardo verso un film che parrebbe finito nel dimenticatoio.
Il mondo dei robot può vantarsi di rappresentare una piccola avanguardia nel mondo del cinema: oltre a essere il primo film ad aver utilizzato un effetto in computer grafica (la soggettiva del robot Yul Brynner, in una sorta di antenato del visore di Terminator), si vocifera rappresenti uno dei primi momenti in cui il termine “virus” viene associato all’informatica, perlomeno per la prima volta in un film. Nell’opera crichtoniana, Westworld (in italiano Westernlandia) è solo una delle tre aree di parco tematico molto più ampio che comprende anche una sezione medievale e una ambientata nell’antica Roma (nel doppiaggio ribattezzate “simpaticamente” Medioevonia e Romamunda). Delos è il nome dell’enorme struttura ma, come anche il titolo originale del film lascia intendere, l’intreccio fondamentale della vicenda si svolge principalmente nel mondo del vecchio e selvaggio West.
Qui Crichton, già vent’anni prima di Jurassic Park, getta le basi di un discorso sull’arroganza umana e di come l’attitudine dell’uomo a volersi divertire in parchi in cui “ricreare la vita” per il proprio godimento non fa altro che ritorcersi contro gli stessi creatori che hanno giocato a essere Dio. Ovviamente sarebbe improbabile, in tal caso, non pensare ad Asimov e alle sue leggi della robotica, nonostante Crichton rielabori il tema della ribellione delle macchine, inserendolo in un contesto che inizia a legarsi alle strutture complesse dei sistemi informatici, automaticamente proiettandosi verso un futuro che verrà ritoccato anni dopo da film come Terminator e, infine, nuovamente rimaneggiato con la “nuova” Westworld estremizzando il concetto di “futuro del peccato”.
Le differenze con la serie di Jonathan Nolan e Lisa Joy sono dunque molto evidenti. Il contesto ludico del film viene attualizzato, per quanto in un’ambientazione reale, in un mondo che, per schemi comportamentali, richiama maggiormente gli universi virtuali: universi che tanto hanno a che fare con la (sempre più di moda) realtà aumentata, dove crearsi un alter ego o meglio, un avatar, ci mostra, senza sporcarci troppo le mani, fin dove saremmo disposti ad arrivare. La differenza è che qui, a muovere i fili, ci sono persone in carne e ossa che osservano i personaggi muoversi all’interno di Westworld come fossero i protagonisti di un grande reality show. In attesa di scoprire se, nelle prossime puntate di questa serie indubbiamente appassionante, non vengano fuori ulteriori spunti degni di essere analizzati…