Nonostante abbia alle spalle un passato turbolento, Shinji Okajima (Tokihiko Okada) è riuscito a ritagliarsi una posizione lavorativa nel ramo delle assicurazioni. Quando perde il posto di lavoro per difendere un collega a un passo dal baratro, Shinji dovrà però adattarsi a lavorare in un ristorante, in attesa di riappropriarsi di ciò che era suo grazie all'aiuto di un suo vecchio insegnante. Sceneggiato da Kōgo Noda, Il coro di Tokyo è un film attraverso cui Ozu parla di condizioni sociali e lavoro che non c'è, in un Giappone che, all'alba degli anni trenta, dal punto di vista economico era tutto fuorché sereno o in condizioni idilliache. Il regista giapponese affronta tali problematiche senza calcare troppo la mano sugli aspetti più scomodi e mesti della questione e non si sottrae dall'usare, forse più spesso del dovuto, dei siparietti comici o quanto meno umoristici per stemperare il tutto e intavolare una, in verità non troppo riuscita, commistione tra dramma sociale e commedia di situazione, che però finisce con lo scontentare sia sull'uno che sull'altro fronte. Ozu dirige un film lodevolissimo nelle intenzioni, e supportato manco a dirlo da adeguate scelte di campo, ma complessivamente più debole rispetto a quanto avrebbe potuto e dovuto essere. I contrassegni stilistici del maestro nipponico ci sono tutti e la sua mano è già tersa e limpida, ma il disequilibrio gioca un ruolo decisivo in negativo e la cristallina purezza dei suoi capolavori in questo caso appare ancora lontanissima, nonostante Ozu punti tutto sul familismo, sulle atmosfere e le inquadrature che lo renderanno giustamente celebre.