Il racconto della ribellione da parte di due ragazzi coraggiosi (Tomio Aoki e Hideo Sugawara), che mettono in campo uno sciopero della fame per contrastare la figura remissiva di un padre (Tatsuo Saitō) completamente sottomesso al proprio datore di lavoro. Solidissimo film di Yasujirō Ozu, che dà voce e assoluta centralità a due protagonisti giovani, eleggendoli a fulcro del proprio sguardo e della sua opera: una precisa scelta di campo, che rivela come meglio non si potrebbe la volontà di adoperare uno sguardo il più possibile puro e limpido, esente da intermediazioni, falsità e filtri di vario genere. Inevitabilmente aperto, pertanto, allo stupore ma anche al disgusto, non ancora del tutto maturato ma decisamente avviato sulla strada che conduce alla crescita e alla presa di responsabilità. Si tratta del film che di fatto consacrò anche all'estero e un po' ovunque il talento del regista nipponico, che successivamente verrà canonizzato da molti, non a torto, come uno dei più grandi cineasti della storia del cinema. Anche in questo caso, va da sé, Ozu adotta uno stile intransigente ma non granitico, che parte da una premessa tematica importante (può la sottomissione avere un valore, un codice etico, addirittura un vantaggio diretto per chi la subisce?) e la problematizza con tutta la dovuta profondità del caso. Fondamentale il fatto che la consapevolezza, prima di ogni cosa, passi dagli occhi e dal cuore dei più giovani: solo così la comprensione di certe situazioni, apparentemente inspiegabili, può portare a una evoluzione in positivo della società e all'accettazione pacificata del dolore. Un film rigoroso, importante, probabilmente decisivo per la carriera del regista. Al momento del montaggio Ozu non ricorse a nessuna dissolvenza, preferendo gli stacchi.