Antti Rahikainen (Markku Toikka) sorprende e uccide a sangue freddo l'imprenditore accusato tre anni di prima di aver investito e non soccorso la sua fidanzata, e poi rilasciato per mancanza di prove. Eeva (Aino Seppo), l'unica testimone oculare del delitto si rifiuta di prendersi la responsabilità di testimoniare contro di lui, mentre il commissario (Esko Nikkari) continua le sue indagini per farlo confessare. Adattamento in chiave moderna dell'omonimo romanzo di Fëdor Dostoevskij, e primo lungometraggio di finzione di Aki Kaurismäki, il film contiene in nuce tutti gli elementi che saranno poi tipici e centrali della poetica del regista finnico: la messa in discussione del concetto di giustizia rispetto alla sua concretizzazione umana, l'occhio privilegiato per ciò che abita i margini ed è assai lontano dal cuore delle cronache ufficiali, la fuga come unica soluzione, il castigo e la responsabilità, il fatalismo dell'esistenza, la recitazione sempre interlocutoria e interdetta, oltre alla propensione a incorniciare il proprio mondo dentro inquadrature simili a calibratissimi teoremi dentro cui instillare il germe vitale della pittura e della poesia. Ne risulta un quadro interessante sulla fragilità umana e sull'incertezza filosofica dei concetti e della loro labilità, ma nella resa effettiva ci si ritrova davanti a un film spesso verboso e poco fluido, lontano dalla maturità stilistica che da lì a qualche anno avrebbero consacrato la particolarissima poetica tragicomica del regista finlandese. In definitiva non il miglior Kaurismäki, e nemmeno uno dei più ispirati.