Dostoevskij
2024
Paese
Italia
Generi
Drammatico, Poliziesco
Durata
279 min.
Formato
Colore
Registi
Damiano D'Innocenzo
Fabio D'Innocenzo
Attori
Filippo Timi
Gabriel Montesi
Carlotta Gamba
Federico Vanni
In un lasso di terra scarno e inospitale, il poliziotto Enzo Vitello (Filippo Timi), uomo dal buio passato, è ossessionato da “Dostoevskij”, killer seriale che uccide con una peculiarità: accanto al corpo l'omicida lascia sempre una lettera con la propria desolante e chiarissima visione del mondo, della vita e dell’oscurità che Vitello sente risuonare al suo interno.
I fratelli D’Innocenzo realizzano una miniserie per Sky Original che è anche un film di 5 ore. Un thriller seriale dalle tinte macabre, un noir televisivo à la True Detective, si potrebbe dire, oppure un’opera fiume, una bibbia dell’immaginario dei gemelli cineasti. Già nella sua natura duplice, si legge la singolarità di quest’opera, più vicina ad un’operazione artistica, ad un manifesto stilistico che ad un prodotto industriale. Le indagini del tormentato Vitello, uomo consumato dai sensi di colpa, interpretato da un livido Filippo Timi, si svolgono in grandi spazi di provincia abbandonati e depressi, in una frontiera lagunare senza punti di riferimento. Fatiscenti architetture del dopoguerra, casolari incrostati dal salmastro, palazzi brutalisti desolanti e mai monumentali. Un’area grigia e oscura a metà tra la Lousiana e quella America latina al centro del precedente film dei fratelli, con la differenza che ora anche le inflessioni dialettali scompaiono, privando di una vera identità locale sia i luoghi che i personaggi. L’antieroe, incapace di ricucire un rapporto di amore e (soprattutto) odio con la figlia Ambra (Carlotta Gamba), trova una nuova spinta nell’ossessione per il killer Dostoevskij, mentre sviluppa una dannosa rivalità con il più giovane e zelante collega poliziotto Fabio Bonocore, interpretato da Gabriel Montesi, ormai maschera dei D’Innocenzo. Sarà capace di affrontare i suoi demoni solo terminando questa lunga catabasi, lasciandosi trasportare verso il fondo dell’abisso. Il tutto è fotografato su una pellicola Super 16 estremamente palpabile, dove i corpi, i tagli e le ferite si confondo con le imperfezioni del negativo. Sceneggiatura, regia e montaggio si alternano perfettamente senza soluzione di continuità, andando a comporre un grande affresco unitario dove l’estro dei gemelli è portato ad un nuovo estremo rispetto ai precedenti lavori. È un cinema sempre più tangibile e fisico quello dei D’Innocenzo, che si prende i suoi tempi, andando in totale controtendenza all’odierno audiovisivo digitale. Un prodotto che va consumato con estrema cautela, ad alto rischio di indigestione per gli organismi non ancora educati.
I fratelli D’Innocenzo realizzano una miniserie per Sky Original che è anche un film di 5 ore. Un thriller seriale dalle tinte macabre, un noir televisivo à la True Detective, si potrebbe dire, oppure un’opera fiume, una bibbia dell’immaginario dei gemelli cineasti. Già nella sua natura duplice, si legge la singolarità di quest’opera, più vicina ad un’operazione artistica, ad un manifesto stilistico che ad un prodotto industriale. Le indagini del tormentato Vitello, uomo consumato dai sensi di colpa, interpretato da un livido Filippo Timi, si svolgono in grandi spazi di provincia abbandonati e depressi, in una frontiera lagunare senza punti di riferimento. Fatiscenti architetture del dopoguerra, casolari incrostati dal salmastro, palazzi brutalisti desolanti e mai monumentali. Un’area grigia e oscura a metà tra la Lousiana e quella America latina al centro del precedente film dei fratelli, con la differenza che ora anche le inflessioni dialettali scompaiono, privando di una vera identità locale sia i luoghi che i personaggi. L’antieroe, incapace di ricucire un rapporto di amore e (soprattutto) odio con la figlia Ambra (Carlotta Gamba), trova una nuova spinta nell’ossessione per il killer Dostoevskij, mentre sviluppa una dannosa rivalità con il più giovane e zelante collega poliziotto Fabio Bonocore, interpretato da Gabriel Montesi, ormai maschera dei D’Innocenzo. Sarà capace di affrontare i suoi demoni solo terminando questa lunga catabasi, lasciandosi trasportare verso il fondo dell’abisso. Il tutto è fotografato su una pellicola Super 16 estremamente palpabile, dove i corpi, i tagli e le ferite si confondo con le imperfezioni del negativo. Sceneggiatura, regia e montaggio si alternano perfettamente senza soluzione di continuità, andando a comporre un grande affresco unitario dove l’estro dei gemelli è portato ad un nuovo estremo rispetto ai precedenti lavori. È un cinema sempre più tangibile e fisico quello dei D’Innocenzo, che si prende i suoi tempi, andando in totale controtendenza all’odierno audiovisivo digitale. Un prodotto che va consumato con estrema cautela, ad alto rischio di indigestione per gli organismi non ancora educati.
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