La terra dell'abbastanza
2018
Rai Play
Paese
Italia
Genere
Drammatico
Durata
95 min.
Formato
Colore
Registi
Damiano D'Innocenzo
Fabio D'Innocenzo
Attori
Andrea Carpenzano
Matteo Olivetti
Milena Mancini
Max Tortora
Luca Zingaretti
Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano) sono amici fin dalla scuola elementare, vivono a Tor Bella Monaca e sperano di lasciare al più presto gli studi per dedicarsi ad altro. Una sera, mentre sono insieme e il primo dei due è alla guida, investono un uomo e si dileguano senza soccorrerlo. Un evento tragico, perché con ogni probabilità l’uomo è morto. Ma forse non del tutto, perché si spalancheranno per entrambi le porte della malavita…
Sorprendente e potente esordio dei fratelli Damiano e Fabio d’Innocenzo, La terra dell’abbastanza fin dal titolo prende una presa di posizione netta rispetto alla realtà incandescente che affronta: il quartiere romano di Tor Bella Monaca, del quale sono originari gli stessi registi, vera e propria zona rossa della Capitale, che la cronaca è abituata a considerare terra di nessuno e avamposto criminale. L’urgenza dei due autori, per la prima volta dietro la macchina da presa, è palpabile fin dalle prime inquadrature e denota una notevole sensibilità estetica ed ambientale, tanto per la fisicità degli spazi e dei propri interpreti quanto per la messa a fuoco, puntualmente viscerale, di una realtà alle corde. Il film racconta, con una semplicità a tratti eccessiva ma anche con naturalezza stordente, il passaggio alla criminalità organizzata come casualità che si trasforma in contingenza e risuona, dunque, ancora più drammatica (ottimo anche l’uso, qua e là distorto e onirico, del sonoro). Lo spaccato antropologico regge sempre l’urto, mentre la seconda parte, sebbene altrettanto ben girata, è più debole e meno centrata sul piano narrativo rispetto alla prima. Tirando le somme, però, risaltano ben nitide le coordinate e i confini di un mondo suburbano condannato, più che alla tragedia, a un fatalismo stordito, quasi privo di bussola, come testimoniano per esempio la scena dell’iniziazione all’uso della pistola, quella del pianto disperato di Mirko (forse la migliore in assoluto) e soprattutto la presenza di un dolente padre ferito interpretato da un intenso e impeccabile Max Tortora, a cui i registi hanno saputo ritagliare un inedito e sorprendente ruolo drammatico. Anche il rapporto di Mirko con la madre è raccontato con una finezza, una delicatezza e un’umanità che non possono lasciare indifferenti e il finale non si dimentica. Validissimi i due protagonisti, ma c’è gloria anche per un serafico Luca Zingaretti in un piccolo ruolo. L’ostinazione con cui i registi hanno bussato a molte porte ha permesso loro di disporre di un comparto tecnico di tutto rispetto per un’opera prima nella quale spiccano il montaggio di Marco Spoletini e i costumi di Massimo Cantini Parrini. Presentato nella sezione Panorama della Berlinale 2018.
Sorprendente e potente esordio dei fratelli Damiano e Fabio d’Innocenzo, La terra dell’abbastanza fin dal titolo prende una presa di posizione netta rispetto alla realtà incandescente che affronta: il quartiere romano di Tor Bella Monaca, del quale sono originari gli stessi registi, vera e propria zona rossa della Capitale, che la cronaca è abituata a considerare terra di nessuno e avamposto criminale. L’urgenza dei due autori, per la prima volta dietro la macchina da presa, è palpabile fin dalle prime inquadrature e denota una notevole sensibilità estetica ed ambientale, tanto per la fisicità degli spazi e dei propri interpreti quanto per la messa a fuoco, puntualmente viscerale, di una realtà alle corde. Il film racconta, con una semplicità a tratti eccessiva ma anche con naturalezza stordente, il passaggio alla criminalità organizzata come casualità che si trasforma in contingenza e risuona, dunque, ancora più drammatica (ottimo anche l’uso, qua e là distorto e onirico, del sonoro). Lo spaccato antropologico regge sempre l’urto, mentre la seconda parte, sebbene altrettanto ben girata, è più debole e meno centrata sul piano narrativo rispetto alla prima. Tirando le somme, però, risaltano ben nitide le coordinate e i confini di un mondo suburbano condannato, più che alla tragedia, a un fatalismo stordito, quasi privo di bussola, come testimoniano per esempio la scena dell’iniziazione all’uso della pistola, quella del pianto disperato di Mirko (forse la migliore in assoluto) e soprattutto la presenza di un dolente padre ferito interpretato da un intenso e impeccabile Max Tortora, a cui i registi hanno saputo ritagliare un inedito e sorprendente ruolo drammatico. Anche il rapporto di Mirko con la madre è raccontato con una finezza, una delicatezza e un’umanità che non possono lasciare indifferenti e il finale non si dimentica. Validissimi i due protagonisti, ma c’è gloria anche per un serafico Luca Zingaretti in un piccolo ruolo. L’ostinazione con cui i registi hanno bussato a molte porte ha permesso loro di disporre di un comparto tecnico di tutto rispetto per un’opera prima nella quale spiccano il montaggio di Marco Spoletini e i costumi di Massimo Cantini Parrini. Presentato nella sezione Panorama della Berlinale 2018.
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