Earwig
Earwig
2021
Paesi
Gran Bretagna, Francia, Belgio
Genere
Drammatico
Durata
114 min.
Formato
Colore
Regista
Lucile Hadžihalilović
Attori
Paul Hilton
Romane Hemelaers
Romola Garai
Alex Lawther
Da qualche parte in Europa, a metà del ventesimo secolo, il cinquantenne Albert deve occuparso della piccola Mia. Vivono da soli in un grande appartamento: le persiane sono sempre chiuse, la bambina non esce mai e la giornata scorre secondo un rituale immutabile. Ogni settimana, il telefono suona e una voce maschile interroga Albert sulla salute della ragazza, ogni settimana Albert risponde con le stesse risposte, finché un giorno quella voce gli comunica che dovrà portare la ragazza a Parigi lasciando l'uomo ad un progessivo sgretolamento interiore.
Earwig, il nuovo film di Lucile Hadzihalilovic, tratto dal romanzo omonimo del britannico Brian Catling, spinge ancor più in là il cripticismo e l’ermetismo già presente nel lavoro dello scrittore inglese. Nelle mani della regista francese, attiva in ambito cinematografico sin dal provocatorio mediometraggio Carne (1991), diretto dal marito Gaspar Noé, la storia di Mia e del suo tutore Albert assume la forma di un body horror. I (pochi) personaggi sembrano interagire tra di loro solo attraverso una violenza sanguinolenta e, forse, sistematica, in quanto il film sembra suggerire, tramite i riferimenti alla guerra e al passato dei protagonisti, che sia proprio il sangue il filo che unisce i vari pezzi di un racconto altrimenti senza direzione. Nonostante la regista riesca ad evocare un’epoca e un luogo ossessionati dal sangue e dalla paura, fallisce nel rendere concreta la sua visione. L’opera risulta troppo fredda, riuscendo a stimolare cerebralmente lo spettatore ma non fisicamente ed emotivamente: difetto non da poco per una pellicola che fa della relazione tra i corpi il suo nucleo e la sua ragion d’essere.
Earwig, il nuovo film di Lucile Hadzihalilovic, tratto dal romanzo omonimo del britannico Brian Catling, spinge ancor più in là il cripticismo e l’ermetismo già presente nel lavoro dello scrittore inglese. Nelle mani della regista francese, attiva in ambito cinematografico sin dal provocatorio mediometraggio Carne (1991), diretto dal marito Gaspar Noé, la storia di Mia e del suo tutore Albert assume la forma di un body horror. I (pochi) personaggi sembrano interagire tra di loro solo attraverso una violenza sanguinolenta e, forse, sistematica, in quanto il film sembra suggerire, tramite i riferimenti alla guerra e al passato dei protagonisti, che sia proprio il sangue il filo che unisce i vari pezzi di un racconto altrimenti senza direzione. Nonostante la regista riesca ad evocare un’epoca e un luogo ossessionati dal sangue e dalla paura, fallisce nel rendere concreta la sua visione. L’opera risulta troppo fredda, riuscendo a stimolare cerebralmente lo spettatore ma non fisicamente ed emotivamente: difetto non da poco per una pellicola che fa della relazione tra i corpi il suo nucleo e la sua ragion d’essere.
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