Russ Duritz (Bruce Willis) è un uomo senza legami sentimentali e dedito solo al lavoro. Un giorno incontrerà se stesso a 8 anni (Spencer Breslin), immerso in uno stranissimo modo onirico dal quale non riesce a fuggire. Il continuo confronto con il suo alter-ego infantile gli farà conoscere per la prima volta l'amore. Opera imbarazzante e semplicistica oltre la soglia dell'accettabile, offuscata dalla retorica sentimentale e infantile, mai a fuoco e sempre evanescente nella sua ostinata ma mai lucida ricerca di pathos. La volontà, si fa per dire, sarebbe quella di far riflettere su temi tutt'altro che inediti come l'accettazione di se stessi, il ricondurre tutto a ciò che nella vita conta davvero, il cogliere l'attimo e le conseguenze del tempo che passa. Una sarabanda di banalità telefonate inanellate impietosamente una dietro l'altra, senza nessun approfondimento psicologico all'interno del coté surreale e la commozione che non arriva davvero mai, rimanendo a metà tra una vaga premessa e un non pervenuto miraggio.