Lubo
2023
Paesi
Italia, Svizzera
Genere
Drammatico
Durata
175 min.
Formato
Colore
Regista
Giorgio Diritti
Attori
Franz Rogowski
Valentina Bellè
Joel Basman
Noémi Besedes
L’artista di strada Lubo (Franz Rogowski) è un nomade che, nel 1939, viene chiamato nell’esercito elvetico per difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di portare via i loro tre figli piccoli, che, in quanto Jenisch, sono stati strappati alla famiglia secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada. Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia.
Dalla lettura de Il seminatore di Mario Cavatore è nato in Giorgio Diritti il desiderio di realizzare questo film, che unisce racconto epico, il dramma della guerra e denuncia sociopolitica nei confronti di quelle famiglie vagabonde che hanno visto sparire i loro figli a causa di programmi di rieducazione assolutamente ipocriti. È un lavoro arrabbiato Lubo, un film che alza la voce soprattutto nei minuti finali e che ha nella sua cornice i momenti migliori: se il finale scuote al punto giusto, altrettanto accattivante – seppur per ragioni diverse – è l’incipit in cui il protagonista si va a svelare lentamente durante una performance in mezzo a una piazza. Tre anni dopo Volevo nascondermi, film incentrato sul pittore Antonio Ligabue, il regista italiano alza ancor di più l’asticella dell’ambizione, dando vita a un lavoro torrenziale di 180 minuti in cui si mescolano generi ed emozioni. Il racconto generale è sempre interessante, ma nella parte centrale sono troppi i passaggi ridondanti e la prolissità prende a tratti il sopravvento all’interno di una visione comunque coinvolgente, seppur non sempre appassionante. Diritti torna alla Seconda guerra mondiale dopo il bel L’uomo che verrà, ma in questo caso si concentra su un personaggio che è praticamente in scena per l’intera pellicola, magnificamente interpretato da un Franz Rogowski in gran forma. È certamente lui il valore aggiunto di un’operazione riuscita ma imperfetta, a cui qualche taglio non avrebbe fatto certamente male. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Dalla lettura de Il seminatore di Mario Cavatore è nato in Giorgio Diritti il desiderio di realizzare questo film, che unisce racconto epico, il dramma della guerra e denuncia sociopolitica nei confronti di quelle famiglie vagabonde che hanno visto sparire i loro figli a causa di programmi di rieducazione assolutamente ipocriti. È un lavoro arrabbiato Lubo, un film che alza la voce soprattutto nei minuti finali e che ha nella sua cornice i momenti migliori: se il finale scuote al punto giusto, altrettanto accattivante – seppur per ragioni diverse – è l’incipit in cui il protagonista si va a svelare lentamente durante una performance in mezzo a una piazza. Tre anni dopo Volevo nascondermi, film incentrato sul pittore Antonio Ligabue, il regista italiano alza ancor di più l’asticella dell’ambizione, dando vita a un lavoro torrenziale di 180 minuti in cui si mescolano generi ed emozioni. Il racconto generale è sempre interessante, ma nella parte centrale sono troppi i passaggi ridondanti e la prolissità prende a tratti il sopravvento all’interno di una visione comunque coinvolgente, seppur non sempre appassionante. Diritti torna alla Seconda guerra mondiale dopo il bel L’uomo che verrà, ma in questo caso si concentra su un personaggio che è praticamente in scena per l’intera pellicola, magnificamente interpretato da un Franz Rogowski in gran forma. È certamente lui il valore aggiunto di un’operazione riuscita ma imperfetta, a cui qualche taglio non avrebbe fatto certamente male. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
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