Messidoro
Messidor
1979
Paesi
Svizzera, Francia
Genere
Drammatico
Durata
123 min.
Formato
Colore
Regista
Alain Tanner
Attori
Clémentine Amouroux
Catherine Rétoré
Jeanne e Marie (Clémentine Amouroux e Catherine Rétoré) si incontrano per caso facendo l’autostop. Entrambe voglio evadere dalla routine e partono per un viaggio senza meta. Nessuna delle due sa decidere quando porre fine a questa avventura.
Road movie al femminile e atipico, in cui le due protagoniste decidono di giocare al “gioco del tempo e dello spazio vuoti”. Non c’è un traguardo da raggiungere, né fisico e forse neanche spirituale: le due amiche vogliono solo scappare da una vita che forse ha ancora meno senso del loro viaggio. La loro è una scelta impulsiva, non dettata da meditazioni, probabilmente spinta da una voglia di libertà a cui dare significato non a priori, ma nel mentre la si vive. Alain Tanner riesce a raccontare lo spaesamento adolescenziale con discreta forza, mischiando spietatezza e candore in maniera imprevedibile, nonostante la durata risulti eccessiva a causa di certe prolissità generali. I vari incontri che le ragazze fanno lungo la strada sono specchio di un’umanità ugualmente varia, da cui non si sa se aspettarsi un aiuto o una minaccia. Per certi versi può ricordare Thelma e Louise di Ridley Scott (di dodici anni successivo), ma lo stile e l’approccio di Tanner è più contemplativo, marchiato dalla disillusione fin dall’inizio e lontano dal dinamismo statunitense di fine anno Ottanta. Belle le ambientazioni svizzere, dalla campagna alle montagne, passando per città e paesi letargici, dove Jeanne e Marie vagano al di fuori delle convenzioni sociali, ma dove la libertà non è che una parentesi destinata a chiudersi dolorosamente. Ottime prove delle giovani protagoniste in questo che è uno dei più felici esiti di Tanner e del cinema svizzero del periodo. Il titolo deriva dal cognome che le due ragazze si affibbiano quando interrogate, ispirate dal primo mese estivo del calendario rivoluzionario francese.
Road movie al femminile e atipico, in cui le due protagoniste decidono di giocare al “gioco del tempo e dello spazio vuoti”. Non c’è un traguardo da raggiungere, né fisico e forse neanche spirituale: le due amiche vogliono solo scappare da una vita che forse ha ancora meno senso del loro viaggio. La loro è una scelta impulsiva, non dettata da meditazioni, probabilmente spinta da una voglia di libertà a cui dare significato non a priori, ma nel mentre la si vive. Alain Tanner riesce a raccontare lo spaesamento adolescenziale con discreta forza, mischiando spietatezza e candore in maniera imprevedibile, nonostante la durata risulti eccessiva a causa di certe prolissità generali. I vari incontri che le ragazze fanno lungo la strada sono specchio di un’umanità ugualmente varia, da cui non si sa se aspettarsi un aiuto o una minaccia. Per certi versi può ricordare Thelma e Louise di Ridley Scott (di dodici anni successivo), ma lo stile e l’approccio di Tanner è più contemplativo, marchiato dalla disillusione fin dall’inizio e lontano dal dinamismo statunitense di fine anno Ottanta. Belle le ambientazioni svizzere, dalla campagna alle montagne, passando per città e paesi letargici, dove Jeanne e Marie vagano al di fuori delle convenzioni sociali, ma dove la libertà non è che una parentesi destinata a chiudersi dolorosamente. Ottime prove delle giovani protagoniste in questo che è uno dei più felici esiti di Tanner e del cinema svizzero del periodo. Il titolo deriva dal cognome che le due ragazze si affibbiano quando interrogate, ispirate dal primo mese estivo del calendario rivoluzionario francese.
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