Nessun amore è più grande
Ningen no jôken
1959
Paese
Giappone
Generi
Drammatico, Guerra
Durata
208 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Masaki Kobayashi
Attori
Tatsuya Nakadai
Michiyo Aratama
Keiji Sada
Chikage Awashima
Ineko Arima
Seconda guerra mondiale. Per evitare di essere chiamato alle armi e doversi separare dalla donna che ama (Michiyo Aratama), il ventottenne Taji (Tatsuya Nakadai) accetta l'incarico di supervisore in una miniera della Manciuria settentrionale. Giovane e idealista, Taji vorrebbe migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e aumentare così l'efficienza produttiva, ma le sue idee progressiste si scontrano con la miopia dei suoi superiori. La difficile situazione precipita quando i militari inviano nel campo seicento prigionieri cinesi. Basata sull'omonimo romanzo in sei volumi di Junpei Gomikawa e composta da Nessun amore è più grande (1959), Il cammino verso l'eternità (1959) e La preghiera del soldato (1961), la trilogia de La condizione umana è un imponente affresco esistenziale senza eguali nella storia del cinema nipponico, un'opera controversa e ambiziosa (a partire dalla durata complessiva di quasi dieci ore) attraverso cui Masaki Kobayashi affronta una delle pagine più critiche della storia giapponese (quella della guerra in Manciuria a cui da giovane lui stesso aveva partecipato), invitando apertamente il suo popolo a una severa azione di autocritica collettiva. Quasi interamente ambientato all'interno di un campo di lavoro dove la guerra arriva solo indirettamente, questo primo capitolo si concentra sull'aspro conflitto vissuto dall'idealista Kaji con coloro che vorrebbe aiutare (i prigionieri cinesi disillusi e sfiduciati), con i suoi superiori (per larga parte funzionari corrotti e militari spietati) e soprattutto con se stesso (perennemente scisso fra il dovere e il sentimento): in questo senso il tormentato protagonista, un uomo comune costretto a combattere da solo una titanica lotta contro un sistema ingiusto e disumano, dove bisogna scegliere se far parte degli oppressi o degli oppressori, non è che l'eroe paradigmatico del cinema di Kobayashi, una figura tragicamente votata alla sconfitta come quelle che si vedranno nei successivi Harakiri (1962) e L'ultimo Samurai (1967). Realista nell'approccio, austero nella messa in scena e lineare nella narrazione, il film evita abilmente le trappole della retorica e della semplificazione grazie allo sguardo morale di un regista che non smette mai di scandagliare l'umanità dei suoi personaggi.
Maximal Interjector
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