Ready Player One
Ready Player One
2018
Paese
Usa
Generi
Fantascienza, Azione
Durata
140 min.
Formato
Colore
Regista
Steven Spielberg
Attori
Tye Sheridan
Olivia Cooke
Ben Mendelsohn
Simon Pegg
Mark Rylance
Hannah John-Kamen
Nel 2045 la vita sulla terra è ai limiti della sostenibilità. Tutti preferiscono "migrare" su Oasis, un videogioco virtuale dove poter condurre una seconda vita. Il creatore della piattaforma, James Halliday (Mark Rylance) è morto da poco ma ha lasciato una serie di indizi che, una volta completati, eleggeranno il vincitore come legittimo proprietario di quell'universo. La caccia è aperta e il primo ad avvicinarsi al bottino è un giovane di Columbus soprannominato Parzival (Tye Sheridan).
Tratto dall'omonimo best seller di Ernest Cline (qui in veste di co-sceneggiatore), Ready Player One è un'irresistibile operazione (video)ludica diretta da uno dei registi che hanno contribuito a scolpire nella leggenda l'immaginario degli anni Ottanta in cui è calato l'intero lavoro. Steven Spielberg torna quindi a fare i conti con la fantascienza anche se bastano pochi minuti per comprendere quanto la mano del regista non sia da ricercare nei richiami (espliciti) a film come Minority Report (2002), bensì a progetti più semplici e fanciulleschi come Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'Unicorno (2011), anche se la sua mano va oltre il citazionismo del decennio degli ’80 per riflettere, in filigrana, sull’intrattenimento condiviso del nostro presente, veicolato dai social media e dalle forme digitali di interazione e affettività. Oasis è infatti un mondo interamente virtuale in cui tutti (Spielberg compreso) possono dare sfogo alla propria immaginazione e ottenere ciò che vogliono, costruendo degli avatar su misura, e in cui i rapporti causa effetto sono automatici e labili. Non si contano i momenti di meraviglia e stupore (la strabiliante gara automobilistica, davvero da urlo per perizia tecnica, o la scena del ballo), capaci di catturare lo sguardo dello spettatore avvolgendolo in una realtà completamente malleabile a seconda delle esigenze dell'autore-giocatore. Spielberg riparte dal cinema strizzando l'occhio a Hitchcock (il prologo con le finestre dei camper) e citando apertamente Kubrick (strepitosa la sequenza che rifà Shining), dimostrandosi il vero protagonista, o meglio, il giocatore principale del film. Certo, a guardarlo con occhi più obiettivi, Ready Player One non è esente da limiti evidenti, a cominciare da uno spunto narrativo tutto sommato esile e gestito frettolosamente (nonostante la lunga ed eccessiva durata), che si accontenta di dar vita a personaggi canonici e piatti (l'eroe, la principessa, lo strambo creatore e il cinico antagonista), destinati a un lieto fine tanto scontato quanto prevedibile nella sua pomposità fiabesca. Eppure la forza del progetto risiede proprio nel puro intrattenimento cinematografico, gestito con mano sicura da Spielberg e infarcito da una serie sterminata di riferimenti pop anni Ottanta, in grado di scongelare anche i cuori degli spettatori più esigenti (perché in fondo, come ci viene ricordato nel finale, l'importante è giocare). E al termine rimane, soprattutto, la fede spassionata sulla fiducia nella realtà e nell’Umano: il vero, inalienabile nodo poetico della coerente, eclettica, spettacolare carriera del regista, che ha alternato a questo film la lavorazione di The Post (2017) dimostrando una giovinezza di sguardo e di intenzioni a dir poco incredibile.
Tratto dall'omonimo best seller di Ernest Cline (qui in veste di co-sceneggiatore), Ready Player One è un'irresistibile operazione (video)ludica diretta da uno dei registi che hanno contribuito a scolpire nella leggenda l'immaginario degli anni Ottanta in cui è calato l'intero lavoro. Steven Spielberg torna quindi a fare i conti con la fantascienza anche se bastano pochi minuti per comprendere quanto la mano del regista non sia da ricercare nei richiami (espliciti) a film come Minority Report (2002), bensì a progetti più semplici e fanciulleschi come Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'Unicorno (2011), anche se la sua mano va oltre il citazionismo del decennio degli ’80 per riflettere, in filigrana, sull’intrattenimento condiviso del nostro presente, veicolato dai social media e dalle forme digitali di interazione e affettività. Oasis è infatti un mondo interamente virtuale in cui tutti (Spielberg compreso) possono dare sfogo alla propria immaginazione e ottenere ciò che vogliono, costruendo degli avatar su misura, e in cui i rapporti causa effetto sono automatici e labili. Non si contano i momenti di meraviglia e stupore (la strabiliante gara automobilistica, davvero da urlo per perizia tecnica, o la scena del ballo), capaci di catturare lo sguardo dello spettatore avvolgendolo in una realtà completamente malleabile a seconda delle esigenze dell'autore-giocatore. Spielberg riparte dal cinema strizzando l'occhio a Hitchcock (il prologo con le finestre dei camper) e citando apertamente Kubrick (strepitosa la sequenza che rifà Shining), dimostrandosi il vero protagonista, o meglio, il giocatore principale del film. Certo, a guardarlo con occhi più obiettivi, Ready Player One non è esente da limiti evidenti, a cominciare da uno spunto narrativo tutto sommato esile e gestito frettolosamente (nonostante la lunga ed eccessiva durata), che si accontenta di dar vita a personaggi canonici e piatti (l'eroe, la principessa, lo strambo creatore e il cinico antagonista), destinati a un lieto fine tanto scontato quanto prevedibile nella sua pomposità fiabesca. Eppure la forza del progetto risiede proprio nel puro intrattenimento cinematografico, gestito con mano sicura da Spielberg e infarcito da una serie sterminata di riferimenti pop anni Ottanta, in grado di scongelare anche i cuori degli spettatori più esigenti (perché in fondo, come ci viene ricordato nel finale, l'importante è giocare). E al termine rimane, soprattutto, la fede spassionata sulla fiducia nella realtà e nell’Umano: il vero, inalienabile nodo poetico della coerente, eclettica, spettacolare carriera del regista, che ha alternato a questo film la lavorazione di The Post (2017) dimostrando una giovinezza di sguardo e di intenzioni a dir poco incredibile.
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