Katie (Alexandra Lamy) incontra Paco (Sergi López): la loro è una storia semplice, umile, onesta. Dall'amore tra i due nasce Ricky, un dolce pupo cui presto spunteranno due ali sulla schiena, e che diventerà oggetto d'ossessiva attenzione da parte dei media. Quella di Ozon è una fiaba (a decise pennellate mélo) incapace di coniugare il buon artigianato europeo, di cui l'autore è fiero esponente, a una visione "spielberghiana" dell'intera operazione. Il regista si muove in maniera compiaciuta e irritante, consapevole del proprio talento e della forza del soggetto, ispirato a un racconto di Rose Tremain contenuto nella raccolta Les Ténèbres de Wallis Simpson; ma non riesce a tenere le redini del suo lavoro, che finisce per perdere credibilità e ritmo senza trovare identità, pertinenza o un briciolo di riflessione che vada al di là della forma, ficcando qua e là – e senza alcuna cognizione – topoi sui lavoratori, sulla meraviglia, sull'incanto. Un Ozon in chiave minore, in concorso al 59° Festival di Berlino.