The Ring
Ringu
1998
Amazon Prime Video
Paese
Giappone
Generi
Horror, Drammatico
Durata
96 min.
Formati
Colore, Bianco e Nero
Regista
Hideo Nakata
Attori
Nanako Matsushima
Miki Nakatani
Yūko Takeuchi
Hitomi Satō
Yōichi Numata
Chihiro Shirai
Rikiya Ōtaka
Un'oscura videocassetta provoca la morte di chi la guarda a sette giorni di distanza dalla visione. Indagano sul mistero una giovane giornalista (Nanako Matsushima) e il suo ex-marito (Hiroyuki Sanada), entrambi colpiti dalla maledizione. La corsa contro il tempo si fa ancor più disperata quando scoprono che anche il loro figlioletto Yoichi (Rikiya Ōtaka) ha sciaguratamente guardato il terribile nastro.
Il film che ha dato ufficialmente il via alla new wave horror giapponese scatenando un inedito fervore produttivo — propagatosi immediatamente anche fra le cinematografie coreana e thailandese — fra prequel (Ring 0: The Birthday di Norio Tsuruta), sequel (The Spiral di Joji Iida, Ring 2 di Hideo Nakata), remake in terra straniera (The Ring Virus di Kim Dong-bin e The Ring di Gore Verbinski) e un'innumerevole serie di cugini più o meno legittimi (fra cui si possono citare almeno Uzumaki di Higuchinsky, Pulse di Kiyoshi Kurosawa, The Call di Takashi Miike e le saghe di Ju-on e Tomie avviate rispettivamente da Takashi Shimizu e Ataru Oikawa). Prese le distanze dalle derive splatter di un horror giapponese sempre più rivolto a occidente, Nakata si ricollega direttamente alla gloriosa stagione anni Cinquanta e Sessanta del kaidan-eiga — genere cinematografico ispirato alle classiche storie di fantasmi del periodo Edo — aggiornandone i codici alle più moderne inquietudini tecnologiche. Resta la figura tradizionale dell'onryo (il fantasma vendicativo di sesso femminile popolarissimo nel teatro kabuki) ma il contesto da rurale diviene urbano, la maledizione sfrutta i nuovi mezzi di comunicazione e si diffonde come un contagio, mettendo in discussione l'atto stesso del vedere che prima condanna e poi uccide (e lo spettatore, voyeur per eccellenza, viene chiamato direttamente in causa). Le colpe rimosse tornano in forma mostruosa ma Nakata sa che la paura nasce da ciò che non si vede, e costruisce con grande cura una tensione sotterranea e incalzante che esplode solo nel finale in una sequenza terrificante entrata di diritto nell'immaginario collettivo. Tratto dall'omonimo romanzo di Koji Suzuki, sfoltito e riadattato dallo sceneggiatore Hiroshi Takahashi che ne ha eliminato i passaggi più esplicativi in favore di una maggiore ambiguità.
Il film che ha dato ufficialmente il via alla new wave horror giapponese scatenando un inedito fervore produttivo — propagatosi immediatamente anche fra le cinematografie coreana e thailandese — fra prequel (Ring 0: The Birthday di Norio Tsuruta), sequel (The Spiral di Joji Iida, Ring 2 di Hideo Nakata), remake in terra straniera (The Ring Virus di Kim Dong-bin e The Ring di Gore Verbinski) e un'innumerevole serie di cugini più o meno legittimi (fra cui si possono citare almeno Uzumaki di Higuchinsky, Pulse di Kiyoshi Kurosawa, The Call di Takashi Miike e le saghe di Ju-on e Tomie avviate rispettivamente da Takashi Shimizu e Ataru Oikawa). Prese le distanze dalle derive splatter di un horror giapponese sempre più rivolto a occidente, Nakata si ricollega direttamente alla gloriosa stagione anni Cinquanta e Sessanta del kaidan-eiga — genere cinematografico ispirato alle classiche storie di fantasmi del periodo Edo — aggiornandone i codici alle più moderne inquietudini tecnologiche. Resta la figura tradizionale dell'onryo (il fantasma vendicativo di sesso femminile popolarissimo nel teatro kabuki) ma il contesto da rurale diviene urbano, la maledizione sfrutta i nuovi mezzi di comunicazione e si diffonde come un contagio, mettendo in discussione l'atto stesso del vedere che prima condanna e poi uccide (e lo spettatore, voyeur per eccellenza, viene chiamato direttamente in causa). Le colpe rimosse tornano in forma mostruosa ma Nakata sa che la paura nasce da ciò che non si vede, e costruisce con grande cura una tensione sotterranea e incalzante che esplode solo nel finale in una sequenza terrificante entrata di diritto nell'immaginario collettivo. Tratto dall'omonimo romanzo di Koji Suzuki, sfoltito e riadattato dallo sceneggiatore Hiroshi Takahashi che ne ha eliminato i passaggi più esplicativi in favore di una maggiore ambiguità.
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