Gli sdraiati
2017
Paese
Italia
Genere
Drammatico
Durata
103 min.
Formato
Colore
Regista
Francesca Archibugi
Attori
Claudio Bisio
Antonia Truppo
Gaddo Bacchini
Cochi Ponzoni
Giorgio Selva (Claudio Bisio) è un giornalista televisivo che conduce un programma molto importante, Lettere all’Italia. Suo figlio Tito (Gaddo Bacchini) è invece uno dei tanti giovani “sdraiati” dei nostri giorni, che accettano supinamente la società priva di riferimenti data loro in eredità. Ha una compagnia di amici caciaroni e lui stesso fatica a rispettare ogni tipo di scadenza o impegno, scontrandosi piuttosto spesso con il padre, intellettuale bonario ma anche preciso e metodico.
La regista Francesca Archibugi, anche autrice del copione, e lo sceneggiatore e scrittore Francesco Piccolo portano sul grande schermo il libro omonimo del giornalista Michele Serra, testo dall’impostazione ben diversa dal film, molto meno narrativa e cinematografica. Si tratta infatti di un agile monologo di un centinaio di pagine, in cui il rapporto tra padri e figli calato nel nostro presente, si articola attraverso una scrittura sincera, ironica ma delicatamente tagliente, specialmente nel prendere atto delle idiosincrasie e delle tante, scivolose implicazioni di una generazione vissuta all’ombra dei propri padri e in aperto contrasto con loro - quella di Serra stesso - nel diventare padri a loro volta, alle prese con figli calati in un’attualità scomposta, farraginosa, frastagliata, lontana da ogni punto di riferimento. Del valore del libro di Serra, nell’adattamento è però rimasto soltanto lo scheletro, perché ciò che vi è stato costruito intorno nel passaggio dalla scrittura al grande schermo è una girandola di situazioni, personaggi e storie che annegano nella superficie opaca dello stereotipo a buon mercato e del già visto, in cui tanto cinema italiano è solito sprofondare. Sia gli adulti, monoliti radical chic privi di problematicità e di spessore, sia i ragazzi, che si muovono ancora in gruppo in bicicletta, manco fossimo rimasti ai tempi degli intoccabili con Elio Germano, denotano una povertà di soluzioni e di immaginario piuttosto evidente. Bisio in compenso è estremamente in parte e aderisce con dignità agli umori buffi ma anche incerti e colpevoli del suo personaggio, ricalcato in maniera millimetrica sulla bonarietà salottiera e innocua del conduttore televisivo Fabio Fazio (Serra, dopotutto, è anche tra gli autori di Che Tempo Che Fa). Il risultato è un film che né intrattiene con acume né graffia o tantomeno si affida alla salace e intelligente ironia del libro di successo da cui muove. A spuntarla è il buonismo caramellato e stucchevole o il ricongiungimento forzato, con una svolta melodrammatica semplicemente risibile che riguarda un asse portante della storia e il personaggio di Antonia Truppo, che rimane un gigantesco misunderstanding recitativo. Si salvano alcuni dei ragazzi e determinate sequenze di lieve intimità familiare, che riportano al cuore affettivo e sardonico del libro anche grazie alla buona prova di un Bisio ispirato. Donatella Finocchiaro è la prima presidente del consiglio italiano donna, mentre la brava Barbara Ronchi è una barista della RAI, purtroppo estremamente sacrificata dall’evolversi degli eventi.
La regista Francesca Archibugi, anche autrice del copione, e lo sceneggiatore e scrittore Francesco Piccolo portano sul grande schermo il libro omonimo del giornalista Michele Serra, testo dall’impostazione ben diversa dal film, molto meno narrativa e cinematografica. Si tratta infatti di un agile monologo di un centinaio di pagine, in cui il rapporto tra padri e figli calato nel nostro presente, si articola attraverso una scrittura sincera, ironica ma delicatamente tagliente, specialmente nel prendere atto delle idiosincrasie e delle tante, scivolose implicazioni di una generazione vissuta all’ombra dei propri padri e in aperto contrasto con loro - quella di Serra stesso - nel diventare padri a loro volta, alle prese con figli calati in un’attualità scomposta, farraginosa, frastagliata, lontana da ogni punto di riferimento. Del valore del libro di Serra, nell’adattamento è però rimasto soltanto lo scheletro, perché ciò che vi è stato costruito intorno nel passaggio dalla scrittura al grande schermo è una girandola di situazioni, personaggi e storie che annegano nella superficie opaca dello stereotipo a buon mercato e del già visto, in cui tanto cinema italiano è solito sprofondare. Sia gli adulti, monoliti radical chic privi di problematicità e di spessore, sia i ragazzi, che si muovono ancora in gruppo in bicicletta, manco fossimo rimasti ai tempi degli intoccabili con Elio Germano, denotano una povertà di soluzioni e di immaginario piuttosto evidente. Bisio in compenso è estremamente in parte e aderisce con dignità agli umori buffi ma anche incerti e colpevoli del suo personaggio, ricalcato in maniera millimetrica sulla bonarietà salottiera e innocua del conduttore televisivo Fabio Fazio (Serra, dopotutto, è anche tra gli autori di Che Tempo Che Fa). Il risultato è un film che né intrattiene con acume né graffia o tantomeno si affida alla salace e intelligente ironia del libro di successo da cui muove. A spuntarla è il buonismo caramellato e stucchevole o il ricongiungimento forzato, con una svolta melodrammatica semplicemente risibile che riguarda un asse portante della storia e il personaggio di Antonia Truppo, che rimane un gigantesco misunderstanding recitativo. Si salvano alcuni dei ragazzi e determinate sequenze di lieve intimità familiare, che riportano al cuore affettivo e sardonico del libro anche grazie alla buona prova di un Bisio ispirato. Donatella Finocchiaro è la prima presidente del consiglio italiano donna, mentre la brava Barbara Ronchi è una barista della RAI, purtroppo estremamente sacrificata dall’evolversi degli eventi.
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