Il silenzio
Tystnaden
1963
Paese
Svezia
Generi
Drammatico, Grottesco
Durata
96 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Ingmar Bergman
Attori
Ingrid Thulin
Gunnel Lindblom
Jörgen Lindström
Birger Malmsten
Håkan Jahnberg
Ester (Ingrid Thulin) va in vacanza in una terra straniera insieme alla sorella Anna (Gunnel Lindblom) e a Johan (Jörgen Lindström), piccolo figlio di quest'ultima. Al ritorno, quando Ester è presa da un malore, si fermano in un albergo nella piccola e misteriosa città di Timoka, in cui nessuno parla lingue comprensibili. La tensione tra le sorelle, accentuata dalla forzata convivenza, esplode.
Capitolo conclusivo della trilogia sul silenzio di Dio iniziata con Come in uno specchio (1961) e proseguita con Luci d'inverno (1963), Il silenzio (1963) rappresenta un approdo finale cupo e grottesco, misterioso e a tratti intellegibile, tra i risultati più coraggiosi dell'intera filmografia di Ingmar Bergman. In un'allegoria sul conflitto spirituale tra intellettualità ed erotismo, l'autore svedese, attraverso le inquadrature lunghe di Sven Nykvist nelle quali sovente vi è un'asettica e alienante assenza di dialogo e un alternarsi contrastante di buio e luce accecante, crea un'opera criptica, moderna e controversa, con un forte senso dell'irrealtà (più che della surrealtà) che però non è né onirica come Il posto delle fragole (1957) né sperimentale come successivamente Persona (1966). Forse il più minimalista tra i lungometraggi visionari del regista. Ebbe enormi problemi con la censura italiana che lo tagliò e ne smorzò la forza addolcendo alcuni dialoghi.
Capitolo conclusivo della trilogia sul silenzio di Dio iniziata con Come in uno specchio (1961) e proseguita con Luci d'inverno (1963), Il silenzio (1963) rappresenta un approdo finale cupo e grottesco, misterioso e a tratti intellegibile, tra i risultati più coraggiosi dell'intera filmografia di Ingmar Bergman. In un'allegoria sul conflitto spirituale tra intellettualità ed erotismo, l'autore svedese, attraverso le inquadrature lunghe di Sven Nykvist nelle quali sovente vi è un'asettica e alienante assenza di dialogo e un alternarsi contrastante di buio e luce accecante, crea un'opera criptica, moderna e controversa, con un forte senso dell'irrealtà (più che della surrealtà) che però non è né onirica come Il posto delle fragole (1957) né sperimentale come successivamente Persona (1966). Forse il più minimalista tra i lungometraggi visionari del regista. Ebbe enormi problemi con la censura italiana che lo tagliò e ne smorzò la forza addolcendo alcuni dialoghi.
Iscriviti
o
Accedi
per commentare