Ventisette anni dopo la distruzione della Cyberdyne Systems, un nuovo Terminator modificato in metallo liquido, il Rev 9 (Gabriel Luna), viene inviato dal futuro da Skynet per eliminare la giovane messicana Dani Ramos (Natalia Reyes). Sarah Connor (Linda Hamilton) e un vecchio T-800 (Arnold Schwarzenegger) si impegnano a salvarla in una lotta per il futuro.
James Cameron torna a essere direttamente coinvolto nella saga di Terminator con un film che lo vede impegnato in qualità di co-autore del soggetto e co-produttore, a partire da una sceneggiatura di David S. Goyer, Justin Rhodes, Billy Ray e con la regia del Tim Miller di Deadpool (2017). La vicenda, che sposa chiaramente un punto di vista anti-trumpiano, si snoda lungo il confine tra il Messico e gli Stati Uniti ed è il pretesto per intavolare un road movie che investe tre personaggi femminili forti (compresa la rediviva Sarah Connor, invecchiata ma statuaria nelle sue rughe esposte senza pudore), in linea con la sensibilità femminista del clima culturale post-MeToo, che ha portato un vento di rivoluzione a Hollywood. Un tridente di donne che è motore e fulcro di tutta l’operazione, al quale si affianca una riflessione, più in potenza che in atto e in ogni caso eccessivamente didascalica e telefonata, sul ruolo delle macchine nella società contemporanea, tra elementi post-umani, implicazioni di genere e possibilità di sopravvivenza in nuovo scenario globale in cui la tracciabilità delle forme di vita, con l’apporto degli smartphone e dei device di comunicazione digitale, è molto più ampia che in passato e ormai perfino capillare e irreversibile. Tutti questi elementi, eccessivamente studiati a tavolino ma proposti in un’ottica filologica rispetto alla saga originaria, sono senz’altro organici al disegno complessivo, ma a latitare sono la compattezza formale e le spessore filosofico necessari per ricollegare autenticamente Terminator – Destino Oscuro e la sua conformazione a Terminator (1984) e Terminator 2 - Il giorno del giudizio (1991), facendo piazza pulita, come noto, dei tre capitoli successivi non riconducibili al regista di Avatar (2009) e Titanic (1997). Le evoluzioni visive dei Terminator ricordano poi un po’ troppo da vicino l’estetica del simbionte alla Venom e la presenza in scena di Arnold Schwarzenegger prende una deriva eccessivamente comica e sorniona, in linea alla sensibilità produttiva della Marvel, modello imperante nell’ecosistema dei blockbuster in cui il film di Miller si va a inserire. Ne viene fuori un film d’azione comunque abbastanza robusto e qua e là di buona fattura, ma incapace, nonostante molti buoni momenti e un epilogo struggente, di gettare il cuore oltre l’ostacolo e di diventare anche qualcosa di più.