Peter Sellers (Geoffrey Rush), fin da piccolo, ha sempre dimostrato una innata predisposizione per l'arte che lo porterà a diventare una star di Hollywood. Ma i successi professionali non sono accompagnati da una parallela serenità privata: manderà all'aria due matrimoni e la sua salute mentale e fisica subirà durissimi contraccolpi a causa di numerosi vizi, tra cui droga, alcol e belle donne. Finché un giorno, dopo un grossa figuraccia con il regista e amico Blake Edwards, decide di cambiar registro. Un classico biopic, strutturato a livello narrativo su fatti realmente accaduti, ma costellato qua e là di dettagli leziosi e più vicini al gossip che alla cronaca, oltre che percorso, neanche troppo sottilmente, da una certa tendenza alla spettacolarizzazione grossolana, lontana da quel discernimento tra realtà e fantasia che in questi casi si dovrebbe sempre far proprio. Avrebbe probabilmente avuto bisogno di un regista più solido di Stephen Hopkins, Tu chiamami Peter, malinconica pellicola sulla travagliata vita di Peter Sellers, comico di indubbia fama, genio della recitazione, eclettico e trasformista ma anche interprete capace di sfumature incredibili. La messinscena è diligente ma priva di guizzi degni di nota; la sceneggiatura sempliciotta e incapace di sorprendere. A salvare il film dal baratro, la grande performance di Geoffrey Rush, che si cala magnificamente nei panni, non semplici, di un personaggio dai mille volti, sfaccettato e sfuggente: l'attore australiano lo impersona con aderenza totale, anche dal punto di vista mimico, ed è l'unico elemento di spicco in una pellicola piatta e incapace di omaggiare a dovere la carriera (e la vita) di Sellers.