L'uomo con la macchina da presa
Chelovek s kino-apparatom
1929
Cineteca Milano
Paese
Urss
Genere
Documentario
Durata
68 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Dziga Vertov
Attore
Mikhail Kaufman
Un'intera giornata, dall'alba al tramonto, raccontata e scandita attraverso le immagini di un cineoperatore (Mikhail Kaufman) che, per le strade di Odessa, cattura con la sua macchina da presa molteplici scene e altrettanti istanti di vita quotidiana. La sala cinematografica fa, insieme, da punto di partenza e di arrivo a ciò che il "protagonista" immortala.
«Lo scopo di questa opera sperimentale è quello di creare un linguaggio cinematografico assoluto e universale, completamente libero dal linguaggio del teatro e della letteratura». Sono queste le parole pronunciate dallo stesso Vertov a proposito del suo capolavoro L'uomo con la macchina da presa, uno dei capisaldi più rilevanti di tutti i tempi nella storia del cinema nonché una delle tappe più avanzate, specie in rapporto ai suoi tempi, della forma-cinema, sospesa tra futurismo e coscienza metacinematografica dell'infinità riproducibilità della realtà. Il film rifiuta le didascalie (ma anche le scenografie, il set, gli attori, la sceneggiatura), taglia i ponti con le convenzioni del muto e fonda di fatto una nuova idea di mondo veicolabile attraverso le immagini documentarie, in cui l'estetica del cine-occhio (il cosiddetto kinoglaz) teorizzata da Vertov è all'insegna di una libertà formale epocale, che non conosce barriere e si snoda tra associazioni autonome, salti repentini, accelerazioni e frammentazioni. Un momento capitale nella storia del grande schermo e delle avanguardie, in cui l'esattezza scientifica (lo strumento cinema come interprete sommo della modernità, macchina tra le macchine) si sposa a uno sguardo che sa farsi poesia, musicalità, letterarietà ruvida, magniloquenza sinfonica, amplificando fino alle estreme conseguenze il dialogo e il sincretismo tra le arti. Girato in tempi e luoghi diversi, tra Mosca, Kiev e Odessa, il film andò incontro a fraintendimenti colossali e a un conseguente oblio a tutto campo, che lo colpì per lunghissimo tempo a causa della sua apparente atarassia in quanto a prese di posizione politiche. Fortunatamente, però, in tempi non recentissimi ma nemmeno remoti, ne è stata riabilitata la grandezza anche in sede accademica, specialmente in ambito strutturalista, ed è stato riconosciuto inequivocabilmente il suo inestimabile valore. In origine privo di colonna sonora, è stato musicato innumerevoli volte, da Franco Battiato a Michael Nyman passando per la versione della Alloy Orchestra, forse la migliore.
«Lo scopo di questa opera sperimentale è quello di creare un linguaggio cinematografico assoluto e universale, completamente libero dal linguaggio del teatro e della letteratura». Sono queste le parole pronunciate dallo stesso Vertov a proposito del suo capolavoro L'uomo con la macchina da presa, uno dei capisaldi più rilevanti di tutti i tempi nella storia del cinema nonché una delle tappe più avanzate, specie in rapporto ai suoi tempi, della forma-cinema, sospesa tra futurismo e coscienza metacinematografica dell'infinità riproducibilità della realtà. Il film rifiuta le didascalie (ma anche le scenografie, il set, gli attori, la sceneggiatura), taglia i ponti con le convenzioni del muto e fonda di fatto una nuova idea di mondo veicolabile attraverso le immagini documentarie, in cui l'estetica del cine-occhio (il cosiddetto kinoglaz) teorizzata da Vertov è all'insegna di una libertà formale epocale, che non conosce barriere e si snoda tra associazioni autonome, salti repentini, accelerazioni e frammentazioni. Un momento capitale nella storia del grande schermo e delle avanguardie, in cui l'esattezza scientifica (lo strumento cinema come interprete sommo della modernità, macchina tra le macchine) si sposa a uno sguardo che sa farsi poesia, musicalità, letterarietà ruvida, magniloquenza sinfonica, amplificando fino alle estreme conseguenze il dialogo e il sincretismo tra le arti. Girato in tempi e luoghi diversi, tra Mosca, Kiev e Odessa, il film andò incontro a fraintendimenti colossali e a un conseguente oblio a tutto campo, che lo colpì per lunghissimo tempo a causa della sua apparente atarassia in quanto a prese di posizione politiche. Fortunatamente, però, in tempi non recentissimi ma nemmeno remoti, ne è stata riabilitata la grandezza anche in sede accademica, specialmente in ambito strutturalista, ed è stato riconosciuto inequivocabilmente il suo inestimabile valore. In origine privo di colonna sonora, è stato musicato innumerevoli volte, da Franco Battiato a Michael Nyman passando per la versione della Alloy Orchestra, forse la migliore.
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