Youth (Homecoming)
Qingchun: Gui
2024
Paesi
Francia, Lussemburgo, Olanda
Genere
Documentario
Durata
152 min.
Formato
Colore
Regista
Wang Bing
Con l’avvicinarsi delle vacanze di Capodanno i laboratori tessili di Zhili sono quasi deserti. I pochi dipendenti rimasti sono in disperata attesa dello stipendio per pagarsi il viaggio di ritorno a casa. Dalle rive del fiume Yangtze alle montagne dello Yunnan, tutti festeggeranno nelle proprie città natali e celebreranno i rituali di prosperità con la famiglia. Per Shi Wei questa è anche l’opportunità di sposarsi, come per Fang Lingping. Il marito, ex tecnico informatico, dovrà seguirla a Zhili dopo la cerimonia. Imparare è difficile, ma ciò non ostacola l’avvento di una nuova generazione di lavoratori
Dopo Youth (Spring) e Youth (Hard Times), presentati rispettivamente a Cannes nel 2023 e a Locarno nel 2024, il regista cinese Wang Bing chiude la sua trilogia sui giovani cinesi che lavorano nelle industrie tessili. Un trittico che ci porta a ragionare sulla tematica dello sfruttamento a cui si unisce lo scontro generazionale, i rapporti uomo-donna e la paura per il futuro. L’umanità del racconto di una generazione Z cinese povera, immigrata dalle campagne alle città e piena di debiti, racconta perfettamente la Cina moderna, distrutta dal progresso, scissa tra modernità e tradizione. La macchina da presa di Wang Bing non guarda mai a caso: una strada non asfaltata, un cumulo di spazzatura fuori dalla fabbrica e una litigata tra fidanzati, mettono alla luce tutte le mancanze della Repubblica Popolare Cinese, l'assenza d’infrastrutture, l’inquinamento e il disfacimento dei rapporti umani. La sua trilogia non è solo cinema politico, ma la sua cinepresa a spalla riesce in qualche maniera ad arrivare all'interno delle anime di quei giovani protagonisti, riuscendo a fargli avere una voce, proprio a loro che sembrano essere trasparenti nelle fabbriche in cui si trovano e agli occhi dei loro datori di lavoro: una scena tra tutte in questo senso, quella di una ragazza che racconta che non può avere figli e si chiede che futuro avrà. Quest’opera tuttavia risulta la più luminosa e speranzosa della trilogia (anche perché vi sono minori scene nel luogo di lavoro) perché i protagonisti, che vengono tutti da zone rurali della Cina, ritornano a casa per il Capodanno: questo viaggio prende connotazioni metaforiche come un ritorno alle origini e alle tradizioni e, anche se a casa trovano genitori malati (in difficoltà e che arrivano a rimproverarli per la loro assenza), c’è comunque spazio per momenti reali di convivialità e di festa. Questo è il lavoro centrale di tutta questa notevolissima trilogia: dare una dignità umana a chi nel quotidiano non c’è l’ha. «Perché giochi se perdi sempre?», chiede una ragazza al fidanzato che lavora nelle fabbriche: una domanda allegorica di un’ottima pellicola che racconta di giovani destinati a perdere sempre e impossibilitati a smettere di giocare. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Dopo Youth (Spring) e Youth (Hard Times), presentati rispettivamente a Cannes nel 2023 e a Locarno nel 2024, il regista cinese Wang Bing chiude la sua trilogia sui giovani cinesi che lavorano nelle industrie tessili. Un trittico che ci porta a ragionare sulla tematica dello sfruttamento a cui si unisce lo scontro generazionale, i rapporti uomo-donna e la paura per il futuro. L’umanità del racconto di una generazione Z cinese povera, immigrata dalle campagne alle città e piena di debiti, racconta perfettamente la Cina moderna, distrutta dal progresso, scissa tra modernità e tradizione. La macchina da presa di Wang Bing non guarda mai a caso: una strada non asfaltata, un cumulo di spazzatura fuori dalla fabbrica e una litigata tra fidanzati, mettono alla luce tutte le mancanze della Repubblica Popolare Cinese, l'assenza d’infrastrutture, l’inquinamento e il disfacimento dei rapporti umani. La sua trilogia non è solo cinema politico, ma la sua cinepresa a spalla riesce in qualche maniera ad arrivare all'interno delle anime di quei giovani protagonisti, riuscendo a fargli avere una voce, proprio a loro che sembrano essere trasparenti nelle fabbriche in cui si trovano e agli occhi dei loro datori di lavoro: una scena tra tutte in questo senso, quella di una ragazza che racconta che non può avere figli e si chiede che futuro avrà. Quest’opera tuttavia risulta la più luminosa e speranzosa della trilogia (anche perché vi sono minori scene nel luogo di lavoro) perché i protagonisti, che vengono tutti da zone rurali della Cina, ritornano a casa per il Capodanno: questo viaggio prende connotazioni metaforiche come un ritorno alle origini e alle tradizioni e, anche se a casa trovano genitori malati (in difficoltà e che arrivano a rimproverarli per la loro assenza), c’è comunque spazio per momenti reali di convivialità e di festa. Questo è il lavoro centrale di tutta questa notevolissima trilogia: dare una dignità umana a chi nel quotidiano non c’è l’ha. «Perché giochi se perdi sempre?», chiede una ragazza al fidanzato che lavora nelle fabbriche: una domanda allegorica di un’ottima pellicola che racconta di giovani destinati a perdere sempre e impossibilitati a smettere di giocare. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
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