Bong Joon-ho ha compiuto un’impresa unica: nella quasi centenaria storia della statuetta più bramata dall’establishment cinematografico nessun film girato in lingua “non inglese” era riuscito ad accaparrarsi il premio a Miglior film. Doveroso tributo e riconoscimento, quello assegnato dall’Academy, a uno dei registi sudcoreani più interessanti e influenti del XXI secolo che, con il suo ultimo lungometraggio, è riuscito nel non facile compito di soddisfare gusti e aspettative sia della critica che del pubblico. E quindi, contro ogni statistica e previsione, alla 92° edizione dei premi Oscar, andata in scena al Dolby Theatre di Los Angeles, si è deciso di fare la storia. Ben 4 le statuette per Parasite: Miglior film; Miglior film internazionale; Migliore regia; Migliore sceneggiatura originale. Nel nostro personale omaggio a questo regista, cerchiamo di ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera andando a consigliare quelli che per noi sono i suoi 5 film più belli.
Snowpiercer (2013). In quinta posizione troviamo questo blockbuster (co-produzione USA e Corea del Sud) basato da una serie a fumetti francese Le Transperceneige. Il regista sudcoreano dimostra di sapersi ben destreggiare anche con un tipo di pellicola ad alto budget e con un cast ben noto a Hollywood (Chris Evans è il protagonista). Il film è un ottimo esempio di intrattenimento intelligente, dove esplosioni e scenari post-apocalittici si ben amalgamano con una riflessione sulla condizione umana e sulla lotta di classe.
The Host (2006). In quarta posizione troviamo un disaster movie di impressionante impatto visivo. L’eccezionale messa in scena mette in risalto le potenzialità del genere riuscendo inoltre a coniugare spettacolarità e densità tematica. Contro ogni previsione il film gioca molto sull’attesa, instillando tensione nello spettatore per poi folgorarlo con le scene più roboanti. Notevoli le introspezioni psicologiche dei personaggi e le dinamiche familiari, il tutto arricchito da una tematica ambientalista, sempre cara a Bong Joon-ho.
Memories of Murder (2003). Sul gradino più basso del podio troviamo questo lungometraggio ispirato alla vera storia del primo serial killer coreano conosciuto. Film meraviglioso. Crudo, profondo e raffinato, con una messa in scena che amalgama forza ed eleganza. Bong Joon-ho sfrutta il genere thriller per raccontare ombre e contraddizioni di un paese che arriva a soverchiare i diritti dei sospetti. Forte critica alla prassi investigativa sudcoreana in cui l’indagine, spesso in balìa del caso e priva di solide basi, diventa metafora di un quadro politico sfuggente. Finale di disarmante bellezza e colonna sonora indimenticabile.
Mother (2009). In seconda posizione troviamo questo straziante, commosso e ambiguo ritratto di madre. Bong indaga le infinite possibilità e i gesti impensabili che un amore come quello materno può generare. Anche in questa pellicola il regista utilizza il genere per approfondire tematiche ingombranti come il confine etico tra giusto e sbagliato e la controversa ricezione della diversità nel mondo di oggi. Il film riesce a commuovere e ad abbagliare ancor più del precedente regalandoci scene dalla costruzione lirica invidiabile.
Parasite (2019). Il gradino più alto spetta, immancabilmente, all’ultimo successo del regista di Taegu. Scatenata e pirotecnica commedia nera che consente a Bong di affrontare nodi cruciali del presente e della crisi economica con uno sguardo incendiario. Satira al vetriolo che si abbatte sulle fratture tra ranghi sociali, destinati a una feroce e impietosa lotta di classe. Il sarcasmo non risparmia proprio nessuno, andando anche a bersagliare il valore terapeutico dell’arte. Palma d’oro al Festival di Cannes, Golden Globe al miglior film straniero e pioggia di statuette per un film che è già storia.
Simone Manciulli