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25 grandi film LGBT da vedere per salutare giugno, il mese del Pride
Dopo il grande successo di pellicole come I segreti di Brokeback Mountain, La vita di Adele o Chiamami col tuo nome si potrebbe erroneamente pensare che il rapporto su larga scala tra cinema e sensibilità LGBT sia un'acqusizione relativamente recente, soprattutto con l'ascesa di un regista come Xavier Dolan, che ha portato la sua omosessualità ad essere protagonista del talento precoce mostrato nelle sue opere e ne ha fatto un elemento narrativo e identitario determinante della sua poetica. Non si può naturalmente con una singola classifica rendere omaggio a tutto il grande cinema a tema omosessuale prodotto negli anni (alcuni esponenti di spicco del New Queer Cinema, da Haynes a Van Sant passando per Araki e Jarman, sono comunque presenti), ma ad ogni modo ecco 25 film significativi e da non perdere a tema LGBT per salutare nel modo migliore giugno, che dal 1970, in omaggio ai moti di Stonewall, è il mese del Pride

1) Scorpio Rising (Kenneth Anger, 1963)



Manifesto sperimentale che ha segnato l'immaginario LGBT di un'epoca, attraverso un'improvvisazione di taglio documentaristico che immerge la vicenda nella cultura underground di una New York notturna vista dal basso. Subcultura libertaria, cattolicesimo, retaggi nazisti, feticismo, sadismo e culto del corpo maschile si compenetrano in un ritratto iconoclasta che ha lo straordinario merito di far emergere il "lato oscuro" dell'American way of life quando imperava il diktat pop degli anni '60.

2) Morte a venezia (Luchino Visconti, 1971)



Luchino Visconti traspone sullo schermo, con dolente autobiografismo, il bilancio esistenziale di un uomo consapevole di essere giunto alla fine dei propri giorni. In una Venezia putrescente e affascinante, colpita da un'epidemia di colera che accentua la dimensione funerea della vicenda, si consuma la fine del mondo colto e aristocratico incarnato da Aschenbach (modellato su Gustav Mahler), esteta ossessionato dalla bellezza ideale, dal moralismo della forma, dall'astrazione dei sensi. 

3) Querelle de brest (Rainer Werner Fassbinder, 1982)



L'ultimo film di Fassbinder è un compendio della riflessione dell'autore sulla natura predatoria delle relazioni umane e la loro essenza mercantile e vessatrice, un tema sviluppato per un'intera carriera e in questo caso impregnato di presagi di morte più aleatori e più misteriosi che in altri casi, complice una messa in scena tanto esagerata e stilizzata quanto funerea e metafisica. Il testo di partenza di Jean Genet è adattato con una vena compositiva tutta all'insegna dell'overdose dei colori e degli slanci pittorici, quasi a voler restituire attraverso il lavoro sull'inquadratura un mondo invaso in modo quasi fisico dall'emozione e violentato dal sentimento. 

4) Maurice (James Ivory, 1987)



Nonostante una raffinata atmosfera, il film – tra i titoli più celebrati dalla comunità queer – arranca nel miscelare dolore e ieraticità, procedendo a raccontare, in maniera un po' programmatica, un sentimento da cui spesso ci si sente isolati. Glaciale e altero, risulta in ogni caso molto “sentito”, soprattutto dal suo autore, che dona all'operazione un'aura di fascino dalla quale è difficile distanziarsi totalmente.

5) Belli e dannati (Gus Van Sant, 1991)



Gus Van Sant realizza un film diventato iconico, fin dal suo azzeccatissimo titolo italiano. E la cosa non stupisce, perché l'energia che lascia trasparire, vitalissima e colma di sincere scorrettezze, è enorme. Peccato però che il regista di Portland si sia concesso in più di un'occasione deviazioni troppo marcate dal tracciato principale (l'ispirazione, alla lontana, viene dall'Enrico IV di William Shakespeare), indicatrici di una voglia di osare non sempre legittima e ben economizzata. 

6) Edoardo II (Derek Jarman, 1991)



Dall'omonima tragedia di Christopher Marlowe, Jarman firma uno dei suoi film più riusciti, originali e personali, manifesto della sua poetica libera e sapientemente anarchica e massimo esempio della vocazione queer del regista, da intendere quale rivendicazione di stranezza e singolarità tout-court e non solo in rapporto alle tendenze sessuali. Il dramma originale è incentrato sulla figura storicamente assai interessante, per la sua fragilità e la sua presunta omosessualità, di Edoardo II, un regnante inglese del quale è stata tramandata ai posteri la scarsa abilità di politico e il carattere non proprio intransigente e autoritario, che gli causò più grane che altro.

7) Philadelphia (Jonathan Demme, 1993)



Con un'ammirevole assenza di fronzoli, Jonathan Demme raccoglie una storia di sentitissimo impegno civile e la tramuta in un'arringa elegante e avvincente, contro il pregiudizio e la bieca ipocrisia delle istituzioni: un'opera sul dissolversi e la vanità dei preconcetti, in cui la parola è al servizio della cristallina moralità ideologica delle immagini e diventa perfino strumento di controllo e di un potere sano e non coercitivo, oltre che mezzo persuasivo guidato dalla rettezza delle intenzioni. 

8) Happy Together (Wong Kar-wai, 1997)



Maestro del cinema contemporaneo nel raccontare le sfumature del sentimento, Wong Kar-wai si cimenta per la prima volta con una storia d'amore omosessuale. Che, esattamente come quello etero da lui più volte rappresentato, è sofferto, tormentato, destinato alla scadenza. Appassionato e frenetico come il soundtrack che mescola tango (Piazzolla, Veloso) e rock (Frank Zappa, la cover di Danny Chung dell'omonima canzone dei Turtles che dà il titolo al film), è certamente più discontinuo e imperfetto di altri lavori di Wong e la sensazione di aver di fronte un esercizio di stile (seppur ben fatto: ottima la fotografia di Christopher Doyle) prende spesso il sopravvento. 

9) Beau Travail (Claire Denis, 1999)



Dal romanzo di Herman Melville Billy Budd, Claire Denis alza il tiro rispetto ai suoi film precedenti e dirige un'opera d'ambientazione militare con una fotografia torrida e assolata, un uso plastico dei corpi maschili e un'ostentazione provocante e languida della loro fisicità. Il film è un tour de force visivamente notevole, sensuale e surreale, un “sogno tropicale” che lavora sullo stereotipo del cameratismo erodendone l'immaginario, tra curiosa magia esotica e insondabile mistero. 

10) Tropical malady (Apichatpong Weerasethakul, 2004)



Quella del thailandese Apichatpong Weerasethakul (il "sogno tropicale" stavolta è già nel titolo) è un'opera che muove da una serenità solo apparente, da una spensieratezza amorosa che sembra vivere di canzonette, di passeggiate in punta di lirismo, di orizzonti da scrutare dalla punta di un muretto. Le melodie pop, ma anche un semplice istante condiviso nella più assoluta pacatezza e poesia, possono rappresentare, per i due protagonisti, un momento di purezza irripetibile. 

11) I segreti di Brokeback Mountain (Ang Lee, 2005)



Il vero punto di forza, curiosamente, non è il pur innegabile coraggio con cui l'omosessualità è associata a un classico simbolo virile come la figura del cowboy, quanto la capacità di raccontare senza stereotipi né retorica una storia d'amore che è prima di tutto universale. Passione, tenerezza, dolore, lutto: nello struggente dramma che è sicuramente tra le grandi opere del regista taiwanese, ogni singolo frame è un'emozione pura, incarnata alla perfezione dai due bravissimi Heath Ledger e Jake Gyllenhaal. 

12) Milk (Gus Van Sant, 2008)



Con palese passione e coinvolgimento per la materia trattata, Gus Van Sant dirige un film che fa della militanza una bandiera da esporre orgogliosamente, ma senza per questo dimenticarsi di motivarla all'interno del proprio racconto e delle proprie scelte estetiche. Il coraggio e la vitalità di Milk, incarnato da un Sean Penn in stato di grazia, trovano perfetta rispondenza nella carica energica e altrettanto vigorosa della regia, sempre pronta a intercettare le diverse angolazioni della personalità del protagonista, ma anche le tracce fondamentali di ciò che, a livello storico, significava essere omosessuali in quegli anni.

13) Weekend (Andrew Haigh, 2011)



L’opera seconda del regista britannico Andrew Haigh, il cui talento si è confermato con il successivo 45 anni (2015), è un melodramma gay ambientato a Londra, che ricorre in larga misura agli spazi chiusi e agli interni per concentrarsi sulla passione che lega i due personaggi e farla deflagrare attraverso una messa in scena potente e originale, capace di lavorare in maniera tanto rigorosa quanto libera sui gesti, sulle parole, sul realismo di un contatto fisico ancor prima che sentimentale, sottolineato da una macchina da presa spesso in stato di grazia. 

14) Tomboy (Céline Sciamma, 2011)



Delicatissima riflessione sulla pre-pubertà, diretta dalla francese Céline Sciamma, che, al secondo lungometraggio, dimostra già invidiabile talento e sicurezza nel confrontarsi con temi affatto semplici. Riuscendo nell'impresa di rapportarsi alla materia con un approccio originale e mai eccessivo, Sciamma costruisce un impeccabile ritratto di signorina, condendo i silenzi e gli sguardi della piccola Laure, crisalide androgina e commovente, costruendo al contempo una pungente critica al pregiudizio e alla ristrettezza di mentalità. 

15) Laurence Anyways (Xavier Dolan, 2012)



Il doloroso realismo (il dissidio interiore che porta a una scelta così radicale, le difficoltà nelle relazioni interpersonali, il rapporto con i genitori) è sublimato dallo straordinario talento visivo dell'autore canadese, frutto di un'accurata ricerca formale evidente, tra i tanti momenti sospesi tra poesia e arte, nella sequenza del party sulle note di Fade to Grey di Visage o in quella della camminata nella scuola nel primo giorno della "nuova vita". Non un inno alla trasgressione, ma una sentita parabola sulla libera manifestazione della propria individualità. Grazie alla sensibilità di Dolan, diversità e normalità si annullano, senza trascurare il carico di sofferenza che ogni scelta nella vita comporta. In definitiva, è anche una struggente love story contemporanea che spazza via gli usurati topoi del genere.

16) La vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013)



Rifiutando ogni espediente artificioso, Abdellatif Kechiche, al suo quinto film, ha realizzato una splendida elegia dei sentimenti spontanea e vitale, capace di restituire il carattere unico e irripetibile di un legame in cui convergono storia d'amore, capace di cristallizzarsi al di là dello spazio e del tempo, e parabola di formazione destinata a traghettare Adèle nell'età adulta. Tra sorrisi e lacrime, anche i più piccoli gesti quotidiani assumono una valenza speciale, trasmettendo una sensazione di autenticità raramente percepita prima in una pellicola cinematografica.

17) Dietro i candelabri (Steven Soderbergh, 2013)



La vera storia di Liberace è raccontata dal regista con delicatezza e forte trasporto emotivo, riuscendo così a rendere una storia d'amore gay e un ordinario biopic in qualcosa di più profondo e stratificato. Un inno al guardare oltre (e il titolo in questo caso è quanto mai azzeccato), a vedere dietro i luccichii e il glamour dello showbiz per trovare la bellezza e la complessità dei rapporti umani. I due protagonisti sono accomunati da un disperato bisogno d'affetto che nasconde un profondo egoismo: così Liberace cerca di plasmare Scott come sua copia più giovane e bella prima ancora che suo amante, una figurina in cui rispecchiarsi e da cui ottenere trastullo negli anni della vecchiaia. 

18) Lo sconosciuto del lago (Alain Guiraudie, 2013)



Al suo quarto lungometraggio, il francese Guiraudie fa parlare di sé con un'opera spiazzante e non certo di compromesso, realizzando una pellicola d'autore che segna un punto fermo all'interno del cinema queer contemporaneo. La calma placida degli assolati pomeriggi estivi, resa da un perfetto clima di sospensione spazio-temporale, diventa un morboso tappeto silente sotto cui si nascondono tenebrosi risvolti mystery e segreti inconfessati.

19) Pride (Matthew Warchus, 2014)



Coloratissimo, divertente e a tratti commovente ritratto della “meglio gioventù arcobaleno” londinese di metà anni Ottanta, immerso in una coinvolgente e gioiosamente nostalgica atmosfera glitterata, tanto contagiosa da riuscire a sollevare dal torpore anche un grigio e provinciale villaggio gallese. Il contrasto evidente tra i due gruppi, i compassati minatori da una parte e gli esuberanti attivisti dall'altra, è la base su cui si innesta una compagine di personaggi eccezionali, umanissimi e illuminati.

20) Carol (Todd Haynes, 2015)



Quella che può apparire come una sofisticata cartolina d'epoca è in realtà una pellicola fortemente politica, capace di puntare coraggiosamente il dito contro un mondo che, oggi come allora, vuole dire la sua su quali sentimenti possano essere “accettabili” e quali, invece, non lo siano. I classici tòpoi del mélo anni '50 vengono attualizzati da Haynes con spiccata personalità, attraverso una messa in scena minimale in cui gli omaggi espliciti alle tavolozze cromatiche dell'epoca vengono subordinati a una ricerca formale estremamente calibrata, tra sapiente utilizzo del fuori fuoco, un uso mirato del campo-controcampo e il formidabile ricorso a superfici ora opache ora trasparenti come veicolo espressivo di vicinanza o lontananza tra le due protagoniste. 

21) Quando hai 17 anni (André Téchiné, 2016)



L'adolescenza, con tutti i suoi turbamenti, trattata con piglio diretto ed essenziale, in un film che arriva con delicatezza al tema dell'omosessualità (repressa) passando però attraverso un discorso più ampio fatto di integrazione, abbattimento di ogni pregiudizio sulla diversità (anche etnica) e accettazione della propria fragile individualità. Un quadro realistico che rinuncia alla retorica e alle convenzioni grazie alla scrittura puntuale di Céline Sciamma, co-sceneggiatrice insieme al regista, che riesce a trasmettere alla vicenda tutta la sua spontaneità di autrice attenta al mondo giovanile.

22) Chiamami col tuo nome (Luca Guadagnino, 2017)



Un film libero e spontaneo, che trova nella placida calma dell'assolato paesaggio agreste lo scenario ideale per affrontare una storia di fertile semplicità segnata da un significativo gusto per il dettaglio. Questo delizioso coming of age, che può ricordare il cinema di Eric Rohmer, è valorizzato dalla scelta di ambientare la vicenda in un preciso contesto storico-culturale, con la politica che appare dagli schermi della TV, da una semplice immagine colta con naturalezza (quella di Mussolini) o da pittoreschi discorsi a tavola. 

23) Una donna fantastica (Sebastián Lelio, 2017)



Quella di Marina è una storia di misteri e di fantasmi nella quale l'autore poco alla volta conduce i suoi personaggi (e noi spettatori insieme a loro) attraverso gli abissi di una spirale emotiva sempre più cupa e vorticosa da cui non solo sarà impossibile uscire, ma persino orientarsi. Senza privarsi di echi ereditati dal cinema di Pedro Almodóvar, il film scorre saldamente tra i molti segreti che affiorano col passare dei minuti, mentre diverse sequenze confermano il talento visivo di Lelio. 

24) 120 battiti al minuto (Robin Campillo, 2017)



La nobile causa dell'organizzazione internazionale Act-Up (AIDS Coalition to Unleash Power) fondata a New York nel 1987, i cui membri affrontano il proprio tragico destino con il dialogo e il reciproco sostegno, diventa lo scheletro necessario per affrontare un discorso che vuole abbattere ogni forma di discriminazione ma, ancor prima, una insostenibile cecità di massa. Campillo, che ha contribuito alla scrittura di numerosi film del collega Laurent Cantet, tra cui La classe – Entre les murs (Palma d'oro a Cannes 2008), rifiuta ogni tipo di soluzione retorica attraverso una solida sceneggiatura, verbosa ma mai pedante. 

25) Ritratto della giovane in fiamme (Céline Sciamma, 2019)



Partendo da una regia impeccabile, che esalta la scelta di ricorrere a un'ambientazione disadorna e totalmente scevra di orpelli, che si riflette anche in una recitazione trattenuta di stampo quasi bressoniano, l'autrice transalpina mette in scena una storia di amore negato, che è anche una profondissima riflessione sul ruolo della donna, sulle sue insicurezze, sulla sua difficoltà di dare libero sfogo alla propria passione ma anche alla propria vitalità artistica (significativa, in questo senso, la negazione dei nudi maschili per Marianne). L'arte diventa uno strumento per concretizzare la propria affermazione di sé, trasfigurando il tempo che passa inesorabile e rendendo eterni momenti destinati a finire.
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