Nel giorno che segna l’apertura del Concorso Lungometraggi “Finestre sul mondo” e del Concorso Cortometraggi Africani con due film, Soula e CAI-BER, entrambi incentrati sul ruolo della donna nella società, vero tema leitmotiv del festival, riesce anche a distinguersi il primo lungometraggio di Antonio Spanò, Amuka, storia del paradosso vissuto dai contadini congolesi: produttori di una ricchezza che gli viene però negata.
SOULA
Assoluto pezzo forte della giornata, il primo lungometraggio in concorso porta lo spettatore a scontrarsi con una storia basata su fatti reali e dal forte impatto emotivo. Soula di Salah Issaad è, per stessa ammissione del regista, un road movie nella quale la cinepresa non esce mai, esattamente come la nostra protagonista, dai veicoli che la trasportano. Nel tentativo di trovare un tetto dove rifugiarsi insieme alla sua bimba neonata, Soula viene trascinata da una macchina all’altra. Al cambio di vetture durante il corso del film, non consegue un mutamento dell’approccio del regista, il cui uso della macchina da presa in maniera claustrofobica, e il più possibile incisiva, trasforma le portiere, nelle sbarre della prigione in cui è rinchiusa Soula. La maternità e, soprattutto, la mancanza di un marito, la trasformano in un rifiuto della società, pura merce di cui approfittarsi, per il semplice motivo che si è in diritto di farlo. Sicuramente da segnalare la prova attoriale di Soula Bahri, “costretta” a rivivere gran parte degli eventi di quella giornata che si configura come simbolo di tutte le difficoltà e soprusi vissuti nella sua vita. A differire dagli avvenimenti reali è ovviamente il finale, doloroso e al contempo poetico, la quale stempera quella tensione che, essendo troppo caricata negli atteggiamenti degli aguzzini, appare come il vero problema della pellicola. In alcuni momenti infatti, il difficile equilibrio ricercato da Salah Issaad, tra il coinvolgimento emotivo (legato all’ipotesi di realtà dei fatti) e il puro intrattenimento (basato appunto sulla scrittura dei personaggi) pende in favore di quest’ultimo, inficiando però solo in parte, quello che risulta essere un esordio sentito, efficace ed incoraggiante.
CAI-BER
Ad anticipare la proiezione del primo lungometraggio in concorso è CAI-BER, corto di Ahmed Abdelsalam, presente nella sezione competitiva. Tramite la storia di Nour, giovane ragazza in fugga da Il Cairo, il regista ritrae una generazione intera alla ricerca di un posto sicuro da chiamare casa. Perduto il passaporto, non può far altro che rivolgersi all’aiuto del fidanzato, la quale, anche se indirettamente, fa parte di quella società patriarcale che è il principale ostacolo da superare, sia per la partenza di Nour, che per qualsiasi altra ragazza egiziana. Il funzionario, con la quale la nostra protagonista è costretta a confrontarsi, diventa quindi un chiaro simbolo della nazione stessa: incarna, nel suo atteggiamento minaccioso e ostruzionistico, quelle regole che sembrano esistere solo ed esclusivamente per impedire, o quantomeno frenare, le libertà femminili.
AMUKA
Dopo alcuni dei cortometraggi italiani maggiormente premiati dello scorso decennio (The Silent Chaos, Animal Park), Antonio Spanò approda alla forma del lungometraggio con il suo Amuka. Totalmente girato nella Repubblica Democratica del Congo, analizza la forte disparità tra la potenziale ricchezza del paese e le pessime condizioni dei contadini, i quali, nonostante rappresentino il 70% dell’intera popolazione, soffrono la fame e la malnutrizione. Per affrontare questo paradosso, essi hanno formato delle cooperative agricole allo scopo di sostentarsi, rendersi indipendenti e, soprattutto, aumentare in tutto il territorio la consapevolezza del problema. È solo il primo passo di un lungo cammino verso la libertà, ma le voci dense di ira e ribellione dei contadini risuonano in lungo e in largo, anche, grazie al lavoro del regista milanese, al di fuori dei confini congolesi, rinnovando la speranza di un futuro più equo.
I FILM DEL MERCOLEDÌ
Il Festival entra nel vivo con ben tre lungometraggi in concorso che ci proietteranno in tre continenti diversi: Amparo di Simón Mesa Soto, The Gravedigger’s Wife di Khadar Ayderus Ahmed e Wether The Weather Is Fine di Carlo Francisco Manatad, arrivano nelle sale milanesi dopo aver già raccolto diversi premi durante i festival di Cannes, Locarno e Toronto.
A completare l’esaltante giornata saranno due film italiani presenti nella sezione Concorso EXTR’A: La leggenda dell’albero segreto di Giuseppe Carrieri che mette in relazione le leggende Maya ancora presenti in Messico e le certezze della scienza in Italia, e America non c’è di Davide Marchesi, docu-reportage sull’esperienze di vita di un gruppo di giovani italiani di origine africana.
SOULA
Assoluto pezzo forte della giornata, il primo lungometraggio in concorso porta lo spettatore a scontrarsi con una storia basata su fatti reali e dal forte impatto emotivo. Soula di Salah Issaad è, per stessa ammissione del regista, un road movie nella quale la cinepresa non esce mai, esattamente come la nostra protagonista, dai veicoli che la trasportano. Nel tentativo di trovare un tetto dove rifugiarsi insieme alla sua bimba neonata, Soula viene trascinata da una macchina all’altra. Al cambio di vetture durante il corso del film, non consegue un mutamento dell’approccio del regista, il cui uso della macchina da presa in maniera claustrofobica, e il più possibile incisiva, trasforma le portiere, nelle sbarre della prigione in cui è rinchiusa Soula. La maternità e, soprattutto, la mancanza di un marito, la trasformano in un rifiuto della società, pura merce di cui approfittarsi, per il semplice motivo che si è in diritto di farlo. Sicuramente da segnalare la prova attoriale di Soula Bahri, “costretta” a rivivere gran parte degli eventi di quella giornata che si configura come simbolo di tutte le difficoltà e soprusi vissuti nella sua vita. A differire dagli avvenimenti reali è ovviamente il finale, doloroso e al contempo poetico, la quale stempera quella tensione che, essendo troppo caricata negli atteggiamenti degli aguzzini, appare come il vero problema della pellicola. In alcuni momenti infatti, il difficile equilibrio ricercato da Salah Issaad, tra il coinvolgimento emotivo (legato all’ipotesi di realtà dei fatti) e il puro intrattenimento (basato appunto sulla scrittura dei personaggi) pende in favore di quest’ultimo, inficiando però solo in parte, quello che risulta essere un esordio sentito, efficace ed incoraggiante.
CAI-BER
Ad anticipare la proiezione del primo lungometraggio in concorso è CAI-BER, corto di Ahmed Abdelsalam, presente nella sezione competitiva. Tramite la storia di Nour, giovane ragazza in fugga da Il Cairo, il regista ritrae una generazione intera alla ricerca di un posto sicuro da chiamare casa. Perduto il passaporto, non può far altro che rivolgersi all’aiuto del fidanzato, la quale, anche se indirettamente, fa parte di quella società patriarcale che è il principale ostacolo da superare, sia per la partenza di Nour, che per qualsiasi altra ragazza egiziana. Il funzionario, con la quale la nostra protagonista è costretta a confrontarsi, diventa quindi un chiaro simbolo della nazione stessa: incarna, nel suo atteggiamento minaccioso e ostruzionistico, quelle regole che sembrano esistere solo ed esclusivamente per impedire, o quantomeno frenare, le libertà femminili.
AMUKA
Dopo alcuni dei cortometraggi italiani maggiormente premiati dello scorso decennio (The Silent Chaos, Animal Park), Antonio Spanò approda alla forma del lungometraggio con il suo Amuka. Totalmente girato nella Repubblica Democratica del Congo, analizza la forte disparità tra la potenziale ricchezza del paese e le pessime condizioni dei contadini, i quali, nonostante rappresentino il 70% dell’intera popolazione, soffrono la fame e la malnutrizione. Per affrontare questo paradosso, essi hanno formato delle cooperative agricole allo scopo di sostentarsi, rendersi indipendenti e, soprattutto, aumentare in tutto il territorio la consapevolezza del problema. È solo il primo passo di un lungo cammino verso la libertà, ma le voci dense di ira e ribellione dei contadini risuonano in lungo e in largo, anche, grazie al lavoro del regista milanese, al di fuori dei confini congolesi, rinnovando la speranza di un futuro più equo.
I FILM DEL MERCOLEDÌ
Il Festival entra nel vivo con ben tre lungometraggi in concorso che ci proietteranno in tre continenti diversi: Amparo di Simón Mesa Soto, The Gravedigger’s Wife di Khadar Ayderus Ahmed e Wether The Weather Is Fine di Carlo Francisco Manatad, arrivano nelle sale milanesi dopo aver già raccolto diversi premi durante i festival di Cannes, Locarno e Toronto.
A completare l’esaltante giornata saranno due film italiani presenti nella sezione Concorso EXTR’A: La leggenda dell’albero segreto di Giuseppe Carrieri che mette in relazione le leggende Maya ancora presenti in Messico e le certezze della scienza in Italia, e America non c’è di Davide Marchesi, docu-reportage sull’esperienze di vita di un gruppo di giovani italiani di origine africana.
A cura di Enrico Nicolosi