Una cameriera (Constance Bennett) insegue il sogno di diventare attrice. Ci riesce ma, parallelamente al suo successo, la carriera del suo mentore, il regista Max (Lowell Sherman), cola a picco. L'uomo si toglierà la vita. Ispirato a un racconto di Adela Rogers St. John, quello di George Cukor è un incisivo documento sulle contraddizioni di Hollywood. La Mecca del Cinema vista come una gabbia dorata, lussuosa, ma sempre claustrofobica e simile a una prigione. È un film di una modernità incredibile, che l'autore manovra con totale dedizione e con un distillato di cattiveria che sorprende e infierisce. Seppur inevitabilmente datata, è un'opera che calibra bene i pendagli di uno stesso monile, in cui è incastonato il siero letale di Hollywood. Constance Bennett eccezionale. Anticipa tematicamente – e per certi sviluppi della trama – È nata una stella (1937) di Wellmann, di cui Cukor dirigerà il suo glorioso remake del 1954. Da riscoprire.