Angeli perduti
Do lok tin si
1995
Mubi
Paese
Hong Kong
Genere
Drammatico
Durata
96 min.
Formato
Colore
Regista
Wong Kar-wai
Attori
Leon Lai
Michelle Reis
Takeshi Kaneshiro
Charlie Yeung
Karen Mok
Storie di solitudini che s'incrociano tra le luci delle notti di Hong Kong. Ming (Leon Lai), infallibile sicario, non è altrettanto a suo agio nel rapporto con la socia (Michelle Reis), innamorata di lui. Un bizzarro giovane sordomuto (Takeshi Kaneshiro) s'invaghisce di Charlie (Charlie Yeung), tanto da aiutarla a riconquistare il suo ex ragazzo.
Wong Kar Wai sviluppa idee rimaste inutilizzate in Hong Kong Express (1994), realizzando una sorta di spin-off che ha in comune anche uno degli attori protagonisti (Takeshi Kaneshiro). Stavolta le due storie non sono giustapposte, ma scorrono in montaggio alternato: speculare e ancora più psichedelico rispetto al predecessore, è un film altalenante che non esita a pescare dall'immaginario del cinema di genere (soprattutto il gangster movie) per decontestualizzarlo definitivamente, e ricreare gli stilemi del linguaggio da videoclip contaminandoli con l'influenza del cinema d'autore europeo. Una Hong Kong notturna e acida è trasfigurata nell'inconfondibile universo wonghiano popolato da personaggi disfunzionali, in cui i dettagli si fanno elementi estetici (dalle onnipresenti sigarette al jukebox, presenza ricorrente nel cinema del regista già dai tempi di As Tears Go By, 1988). Gli “angeli” di Wong, tra cui spiccano soprattutto l'asociale e bellissima Michelle Reis e l'irresistibile pazzoide Kaneshiro, sono condannati all'incomunicabilità a dispetto del loro disperato bisogno d'amore. A tratti fin troppo azzardato nella sua messinscena, il film enfatizza l'uso di step-framing e angolature deformi: può così risultare irritante per chi non ama lo stile di Wong, ma altrettanto trascinante per i suoi fan.
Wong Kar Wai sviluppa idee rimaste inutilizzate in Hong Kong Express (1994), realizzando una sorta di spin-off che ha in comune anche uno degli attori protagonisti (Takeshi Kaneshiro). Stavolta le due storie non sono giustapposte, ma scorrono in montaggio alternato: speculare e ancora più psichedelico rispetto al predecessore, è un film altalenante che non esita a pescare dall'immaginario del cinema di genere (soprattutto il gangster movie) per decontestualizzarlo definitivamente, e ricreare gli stilemi del linguaggio da videoclip contaminandoli con l'influenza del cinema d'autore europeo. Una Hong Kong notturna e acida è trasfigurata nell'inconfondibile universo wonghiano popolato da personaggi disfunzionali, in cui i dettagli si fanno elementi estetici (dalle onnipresenti sigarette al jukebox, presenza ricorrente nel cinema del regista già dai tempi di As Tears Go By, 1988). Gli “angeli” di Wong, tra cui spiccano soprattutto l'asociale e bellissima Michelle Reis e l'irresistibile pazzoide Kaneshiro, sono condannati all'incomunicabilità a dispetto del loro disperato bisogno d'amore. A tratti fin troppo azzardato nella sua messinscena, il film enfatizza l'uso di step-framing e angolature deformi: può così risultare irritante per chi non ama lo stile di Wong, ma altrettanto trascinante per i suoi fan.
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