Black Flies
Black Flies
2023
Paese
Usa
Generi
Thriller, Drammatico
Durata
120 min.
Formato
Colore
Regista
Jean-Stéphane Sauvaire
Attori
Katherine Waterston
Sean Penn
Michael Pitt
Tye Sheridan
Mike Tyson
A New York, Ollie Cross (Tye Sheridan), un giovane paramedico, fa squadra con Rutkovsky (Sean Penn), un esperto medico di emergenza. Di fronte alla violenza estrema che costella quotidianamente il loro lavoro, esposto a continui picchi di stress e tensione, Ollie sperimenta di continuo sulla sua pelle tutti i rischi di una professione che fa vacillare le sue certezze sulla vita... e sulla morte.
Nervoso ed elettrico thriller urbano, Black Flies, diretto dal regista parigino trapiantato a New York Jean-Stéphane Sauvaire e adattamento del libro 911 di Shannon Burke, ci immerge immediatamente in una Grande Mela livida e sovreccitata, in cui i neon delle ambulanze si confondono di continuo con l’azione forsennata e con i volti dei protagonisti, alle prese con innumerevoli interventi ad alto rischio. Dopo un prologo girato con muscolare e innegabile perizia tecnica, che lascerebbe ben sperare in qualcosa di meglio, il film svela tuttavia fin dalle prime battute la sua natura di prodotto decisamente alimentare, intenzionato pressoché esclusivamente a lavorare sull’epidermide malsana e respingente delle situazioni messe in scena piuttosto che ad approfondire realmente i tormenti psicologici, fisici e morali dei personaggi. Anche la rozzissima sceneggiatura si limita a procedere d’accumulo, inanellando momenti sempre molto simili e in più di un’occasione stucchevoli e ridondanti: Ollie e “Rut”, i due protagonisti, non incontrano infatti altro che soggetti respingenti da soccorrere, i quali non di rado provvedono a insultarli, a rifiutare le loro cure, a essere sprezzanti quanto non addirittura volgari e xenofobi, in un campionario di brutture umane, tra tossicodipendenti, malavitosi tatuatissimi e mariti violenti, che la regia non manca mai di sottolineare con fare estremamente strumentale. Questa unilateralità dei personaggi contorno finisce ben presto con l’appiattire tutto in un’odissea notturna in cui ltutti i caratteri convocati servono più che altro a mettere i paramedici in una condizione di estrema fragilità e nevrosi rispetto al mondo circostante, ma a mancare è sempre lo scavo sotterraneo. Non c’è nulla di nuovo rispetto a quanto il cinema americano, da Abel Ferrara al Martin Scorsese di Al di là della vita (1999), non abbia già opportunamente elaborato meglio e con maggiore profondità in passato e in un simile contesto anche le interpretazioni di Sheridan e Penn non decollano mai, tanto che l’amicizia ombrosa e tormentata tra i due guadagna la ribalta, posticciamente, solo nel momento in cui si sceglie fin troppo tardivamente di inserire nella sceneggiatura un trauma fondamentale destinato a instradare la narrazione verso l’amarissimo e al contempo consolatorio epilogo, emblema perfetto di un’operazione superficiale e affettata. Il risultato finale è un film grezzo e grossolano dall’inizio alla fine, che tenta con gli estetismi ammiccanti e un’estetica mutuata a larghi tratti da Gaspar Noé, con cui Sauvaire ha lavorato in passato, di sopperire a un allarmante vuoto narrativo e d’ispirazione. Nel cast anche Michael Pitt nei panni di uno dei personaggi in assoluto più tagliato con l’accetta (a tal proposito c’è solo l’imbarazzo della scelta), ma la vera chicca, a impreziosire il tono “coatto” del film, è la presenza nel cast dell’ex pugile Mike Tyson nel ruolo di un superiore dei due protagonisti. Presentato in Concorso, senz’altro con una collocazione generosissima, al Festival di Cannes 2023.
Nervoso ed elettrico thriller urbano, Black Flies, diretto dal regista parigino trapiantato a New York Jean-Stéphane Sauvaire e adattamento del libro 911 di Shannon Burke, ci immerge immediatamente in una Grande Mela livida e sovreccitata, in cui i neon delle ambulanze si confondono di continuo con l’azione forsennata e con i volti dei protagonisti, alle prese con innumerevoli interventi ad alto rischio. Dopo un prologo girato con muscolare e innegabile perizia tecnica, che lascerebbe ben sperare in qualcosa di meglio, il film svela tuttavia fin dalle prime battute la sua natura di prodotto decisamente alimentare, intenzionato pressoché esclusivamente a lavorare sull’epidermide malsana e respingente delle situazioni messe in scena piuttosto che ad approfondire realmente i tormenti psicologici, fisici e morali dei personaggi. Anche la rozzissima sceneggiatura si limita a procedere d’accumulo, inanellando momenti sempre molto simili e in più di un’occasione stucchevoli e ridondanti: Ollie e “Rut”, i due protagonisti, non incontrano infatti altro che soggetti respingenti da soccorrere, i quali non di rado provvedono a insultarli, a rifiutare le loro cure, a essere sprezzanti quanto non addirittura volgari e xenofobi, in un campionario di brutture umane, tra tossicodipendenti, malavitosi tatuatissimi e mariti violenti, che la regia non manca mai di sottolineare con fare estremamente strumentale. Questa unilateralità dei personaggi contorno finisce ben presto con l’appiattire tutto in un’odissea notturna in cui ltutti i caratteri convocati servono più che altro a mettere i paramedici in una condizione di estrema fragilità e nevrosi rispetto al mondo circostante, ma a mancare è sempre lo scavo sotterraneo. Non c’è nulla di nuovo rispetto a quanto il cinema americano, da Abel Ferrara al Martin Scorsese di Al di là della vita (1999), non abbia già opportunamente elaborato meglio e con maggiore profondità in passato e in un simile contesto anche le interpretazioni di Sheridan e Penn non decollano mai, tanto che l’amicizia ombrosa e tormentata tra i due guadagna la ribalta, posticciamente, solo nel momento in cui si sceglie fin troppo tardivamente di inserire nella sceneggiatura un trauma fondamentale destinato a instradare la narrazione verso l’amarissimo e al contempo consolatorio epilogo, emblema perfetto di un’operazione superficiale e affettata. Il risultato finale è un film grezzo e grossolano dall’inizio alla fine, che tenta con gli estetismi ammiccanti e un’estetica mutuata a larghi tratti da Gaspar Noé, con cui Sauvaire ha lavorato in passato, di sopperire a un allarmante vuoto narrativo e d’ispirazione. Nel cast anche Michael Pitt nei panni di uno dei personaggi in assoluto più tagliato con l’accetta (a tal proposito c’è solo l’imbarazzo della scelta), ma la vera chicca, a impreziosire il tono “coatto” del film, è la presenza nel cast dell’ex pugile Mike Tyson nel ruolo di un superiore dei due protagonisti. Presentato in Concorso, senz’altro con una collocazione generosissima, al Festival di Cannes 2023.
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