Cardillac
Cardillac
1969
Paese
Rft
Generi
Biografico, Drammatico, Sperimentale
Durata
97 min.
Formati
Colore, Bianco e Nero
Regista
Edgar Reitz
Attori
Hans Christian Blech
Catana Cayetano
Rolf Becker
Liane Hielscher
Werner Leschhorn
Attraverso gli occhi della figlia (Catana Cayetano), e del suo collaboratore (Rolf Becker), viene raccontato l'ultimo anno di vita di Cardillac (Hans Christian Blech), uno dei più famosi e bravi orafi del mondo, trovato morto in causa sua, ucciso da una sedia elettrica da lui stesso costruita e attorniato dai gioielli rubati ai suoi clienti.
Tratto da un racconto di E.T.A. Hoffmann, Cardillac ripercorre l'ossessione di un uomo per il suo lavoro, con una riflessione sul problema del rapporto tra artista e opera d'arte. In un continuo andirivieni tra la narrazione e lo svelamento della messinscena, affiora l'idea di un personaggio che si identifica nella sua opera, incapace di separarsi da essa, come se questa rappresentasse i suoi stessi organi, pulsanti e vivi. L'arte come dittatura di se stessa, autoreferenziale e violenta, incapace di lasciarsi andare e di lasciar andare, che “uccide” il fruitore così come Cardillac uccide i clienti che gli avevano commissionato i gioielli, solo per riappropriarsene. A metà tra il saggio, il reportage, il documentario e la pellicola di finzione pura, Cardillac è un film-metafora pieno di immagini potenti e capaci di uscire dalle strade del convenzionale: le prove dei gioielli sulla figlia-modello; l'assassinio del cliente in assenza di suono; la scena della sedia elettrica allo specchio, come se quello fosse il gioiello dell'artista, ultimo cortocircuito con la sua opera, fusi nella morte. Il film, inoltre, è ispirato e immerso nei fermenti idealisti del '68 così tanto da influenzarne la forma: gli inserti con le interviste agli attori e altre sequenze sono state inserite a seguito della rivolta della troupe contro la “dittatura della regia”, originando quell'alternanza tra colore e bianco e nero che vuole sottolineare i momenti più sentiti da parte del protagonista, e che sarà una delle cifre stilistiche del magnifico Heimat (1984). Il talento, visivo e narrativo, di Reitz è però già visibilissimo in questo lungometraggio, maestoso e valorizzato da diversi momenti di squarciante potenza.
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