Un padre (Christos Stergioglou) e una madre (Michele Valley) hanno “intrappolato” fin dalla nascita i tre figli, due femmine (Angeliki Papoulia e Mary Tsoni) e un maschio (Hristos Passalis) ai quali non è stato assegnato nome, all'interno della loro abitazione in una zona periferica isolata. I figli sono soggetti agli ordini dell'autoritario padre, che inculca nelle loro menti vergini concetti ingannevoli che distorcono totalmente la realtà.
Il talentuoso regista greco Yorgos Lanthimos, qui al suo terzo lungometraggio, espone la sua visione della famiglia contemporanea, sullo sfondo di un paese, quello greco, in profonda crisi sociale e valoriale. Premiato al Festival di Cannes nel 2009 nella sezione Un Certain Regard (e colpevolmente ignorato dalla distribuzione italiana) è una di quelle opere dalla personalità talmente dirompente che già dopo la prima visione si sedimenta all'interno della coscienza dello spettatore. Un film geniale ma, allo stesso tempo, venato di un'inquietudine al limite della morbosità, che crea in chi guarda una sensazione di disarmante straniamento morale. Lanthimos arriva ad addentrarsi nelle viscere del cinema più estremo, aggirando con intelligenza gli ostacoli che mano a mano trova sulla sua impervia strada, fornendo allo spettatore una sofferente quanto salvifica prova di sopravvivenza fisica che troverà in Alps (2011), opera successiva, la sua ideale prosecuzione.
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