Don Giovanni
Don Giovanni
1979
Paesi
Italia, Francia, Rft
Genere
Operistico
Durata
176 min.
Formato
Colore
Regista
Joseph Losey
Attori
Ruggero Raimondi
José van Dam
Edda Moser
Kiri Te Kanawa
Kenneth Riegel
John Macurdy
Teresa Berganza
Malcolm King
Eric Adjani
Impenitente seduttore, Don Giovanni (Ruggero Raimondi) si macchia di un delitto: uccide in duello il Commendatore (John Macurdy) dopo che questi lo ha sfidato per difendere l'onore della figlia Donna Anna (Edda Moser). Per sfuggire alla giovane che vuole vendicare il padre e per sedurre nuove fiamme, Don Giovanni non esita a scambiarsi d'abito col servitore Leporello (José van Dam), ma entrambi saranno scoperti e costretti a rifugiarsi al cimitero. Qui la statua funebre del Commendatore si anima per affrontare il suo uccisore che per tutta risposta la invita a cena. Durante il banchetto l'effige si presenterà realmente e, di fronte all'indisponibilità a pentirsi di Don Giovanni, spingerà quest'ultimo tra le fiamme dell'inferno, sotto lo sguardo disperato di Leporello. Solida, convincente e fedele trasposizione sullo schermo di una delle massime opere di Mozart sul libretto di Lorenzo Da Ponte (senza però la scena 20, quella del coro finale dei personaggi) interpretata da un cast canoro di prim'ordine e diretta da un Losey in grande forma oltre che, per la parte musicale, da Lorin Maazel a capo dell'orchestra dell'Operà di Parigi. La resa “filologica” del testo passa in verità per scelte azzardate ma convincenti, a partire dall'ambientazione veneta realizzata accostando ville palladiane e immagini lagunari. Soprattutto, però, il regista realizza un “colpo di coda” di (quasi) fine carriera, ritrovando la vena “barocca” delle sue opere migliori e sposandola al servizio di un “teatro lirico filmato” che ha pochi precedenti nella storia del cinema. Certo, l'accumulo di materiale visivo e sonoro rischia a volte la sovrabbondanza e lo stordimento, ma nei duetti tra servo e padrone e nel secco finale in cui la statua irrompe al banchetto, si ritrova un Losey efficace e quasi inaspettato. Generalmente apprezzato dalla critica anche all'uscita, resta l'opera migliore dell'ultima fase della carriera dell'autore, forse anche il suo testamento più riuscito, dove nel rifiuto all'abiura del libertino non è forse azzardato leggere l'impulso a girare dell'allora settantenne maestro.
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