America, 1957. Hogarth è un bambino di nove anni che entra in contatto con un enorme gigante di ferro affamato di metallo. Sarà difficile tenere nascosto il suo nuovo amico senza creare scompiglio in una società vittima delle tensioni della Guerra fredda. Dopo essersi fatto le ossa con la serie animata I Simpson, Brad Bird esordisce alla regia di un lungometraggio ritagliandosi una posizione di tutto rispetto nel panorama dell'animazione. Il gigante di ferro non è solo un ottimo cartoon, ma è anche una pellicola che riesce a scavare nel profondo. Prendendo il via da uno spunto semplice e nemmeno troppo originale, il film diventa ben presto veicolo di emozione e divertimento, affrontando con intelligenza la paura del diverso e lanciando più di una frecciatina alla paranoica tensione che si respirava in America durante quegli anni, quando Usa e Urss erano i due blocchi contrapposti che dominavano il mondo. Mescolando animazione tradizionale a sequenze in CGI, Bird ha realizzato un prodotto avvincente, efficace sia nel disegno dei personaggi, caratterizzati in maniera precisa e funzionale, sia nella struttura narrativa, che lascia intuire il talento cinematografico di un regista competente che avrà molto da dire nel mondo dell'animazione (suoi i successivi Gli incredibili (2004) e Ratatouille (2007) della Disney Pixar.