L'elegante Petra Von Kant (Margit Carstensen) ha rinunciato ai compromessi della vita coniugale per seguire la propria idea di emancipazione. Vive con la silente serva Marlene (Irm Hermann) e si innamora di Karin (Hanna Schygulla), che però è scostante, falsa e ben lungi dall'esserle totalmente fedele. Farà sprofondare Petra nell'abisso della disperazione.
Uno dei film più importanti di Rainer Werner Fassbinder, nonché uno dei melodrammi più chirurgici e affascinanti della storia del cinema, girato in una decina di giorni con una sapienza e un tatto difficilmente eguagliabili. L'operatore e direttore della fotografia Michael Ballhaus, insieme al regista bavarese, crea un'atmosfera unica, in cui ogni millimetrica variazione prospettica è segnalata da movimenti di macchina vellutati e impercettibili, comprese le carrellate, e da una profondità di campo dosata alla perfezione: la morbidezza è applicata a uno spietato disegno psicologico, nonché a un'ambiguità semantica che rende l'opera un potentissimo saggio sui rapporti tra il filmare per il cinema e il filmare per il palcoscenico (Fassbinder nasce proprio dal teatro), oltre che sulle possibilità incandescenti che le due forme d'arte possono invocare nel momento in cui sono chiamate a dialogare tra di loro in maniera così stretta (ne sono un esempio i quadri della scenografia usati in funzione metaforico-politica). Da un suo stesso testo teatrale, Fassbinder dà vita a un ritratto di donna memorabile, trasformista e sfuggente, in grado di parlare del dolore con una complessità elevatissima e rivelatrice, così intricata eppure così diretta e coinvolgente. I dialoghi sono un flusso interminabile che può spiazzare, o essere un deterrente per qualche spettatore, ma basta soffermarvisi un attimo in più del dovuto per rendersi conto del grande equilibrio, del determinismo e dell'intima verità che racchiude ogni parola. Un film enorme, operistico e barocco anche nella stasi, ostico ed estenuante, ma ricco di commozione, alienazione, spessore filosofico: parlare del lato amaro dell'amore con quest'onestà è difficile, e ancor più proibitivo è inscenare le conseguenze di una relazione infelice attraverso inquadrature e scelte di regia volte a replicare la prigionia del sentimento e della condizione dell'animo umano. Ma Fassbinder, da fuoriclasse assoluto, ci riesce benissimo, facendo letteralmente a pezzi il cuore dello spettatore con immagini difficili da dimenticare.