La nave Vengeur attracca al porto di Brest. A bordo è imbarcato il marinaio Querelle (Brad Davis), sotto la guida del Capitano Seblon (Franco Nero), che di Querelle è innamorato. Il porto della città ha dei bassifondi particolarmente movimentati e variopinti nei quali bazzica un'umanità d'ogni tipo, tra promiscuità sessuale e pochi di buono in azione.
L'ultimo film di Fassbinder è un compendio della riflessione dell'autore sulla natura predatoria delle relazioni umane e la loro essenza mercantile e vessatrice, un tema sviluppato per un'intera carriera e in questo caso impregnato di presagi di morte più aleatori e più misteriosi che in altri casi, complice una messa in scena tanto esagerata e stilizzata quanto funerea e metafisica. Il testo di partenza di Jean Genet è adattato con una vena compositiva tutta all'insegna dell'overdose dei colori e degli slanci pittorici, quasi a voler restituire attraverso il lavoro sull'inquadratura un mondo invaso in modo quasi fisico dall'emozione e violentato dal sentimento. Le maggiori vette della pellicola, che non sono poche e vanno ben oltre il manierismo fine a se stesso di un'opera interamente girata in teatri di posa, il più delle volte viaggiano su corde tanto barocche quanto irrimediabilmente in bilico tra l'artefatto e il contraffatto, tra il sordido e l'immorale. Un degnissimo congedo dell'autore dal cinema che l'ha reso unico e inimitabile, capace di restituire tanto l'angustia di un'arte che ha riflettuto con onestà sulle miserie e le distorsioni dei comportamenti umani quanto sulle prigioni più o meno esplicite dentro le quali siamo soliti rinchiuderci. Un film che si porta appresso la fama di opera maledetta, molto discusso all'epoca della sua uscita, pieno di simbolismi fallici e autenticamente audace, oltre che scorciato dalla solita censura italiana. Splendida performance di Jeanne Moreau, che dà anche il suo apporto canoro, amplificando lo straniamento ma anche l'estasi sinestetica dell'intero prodotto. Snobbato alla Mostra di Venezia, dove ci fu il solo Marcel Carné a difenderlo, rivendicando platealmente la sua convinzione. Il Leone d'oro, nonostante gli sforzi del regista francese, andò però a un altro film tedesco: Lo stato delle cose (1982) di Wim Wenders.