Alcune tappe significative nella vita del pittore polacco Zdzisław Beksiński (Andrzej Seweryn), dagli anni '70 ai primi Duemila, raccontate attraverso tragedie familiari e ossessioni personali, in un clima di devastante dolore. L'esistenza di uno dei più grandi artisti polacchi del ventesimo secolo letta attraverso un biopic lineare nella narrazione ma personale nell'approccio cinematografico: Matuszynski (classe 1984), nel suo primo film di finzione, costruisce un gelido ritratto di "quotidiana sofferenza" che sembra rispecchiare la natura del popolo polacco e, allo stesso tempo, lascia percepire con notevole forza espressiva le pulsioni che hanno spinto Beksiński a rifugiarsi in una pittura dai connotati apocalittici e mortiferi. L'austera Polonia comunista rimane sullo sfondo di una vicenda incentrata sui rapporti più intimi, in cui la Storia non intacca un dolore di portata universale. Il processo creativo rimane sempre fuori campo, l'Arte appare "fissata" negli inquietanti dipinti che riempiono le pareti dell'appartamento in cui si svolge gran parte del racconto. Oltre all'importanza di ogni singolo personaggio (la moglie e, in particolare, il figlio disturbato Tomasz) risulta efficace la riflessione sull'atto del filmare, in particolare attraverso le riprese in Super 8 con cui il protagonista si confronta con la propria ossessione verso la morte e la propria dipendenza nel bloccare il quotidiano nei suoi aspetti più macabri. Un'opera semplice ma riuscita che, seppur non vanti nessuna trovata di spicco, trova una perfetta quadratura anche nel commovente finale.