Parigi, 1895. Condannato per alto tradimento dalla Corte marziale e umiliato pubblicamente, il Capitano dello Stato Maggiore Albert Dreyfus (Louis Garrel), di origine ebrea, viene allontanato dall’esercito francese e confinato sull'isola del Diavolo, nella Guyana francese. L’ufficiale di carriera Georges Picquart (Jean Dujardin), divenuto nel frattempo capo dell'unità di controspionaggio, è convinto della sua innocenza e inizia una durissima battaglia in sua difesa, opponendosi alla malafede delle più alte gerarchie militari e di una intera nazione.
A due anni dal conturbante ma fiacco Quello che non so di lei (2017), Roman Polanski modella le sue ossessioni cinematografiche sui rapporti di forza tra gli uomini e i giochi di potere tra vittima e carnefice, su uno splendido affresco storico basato sull'Affare Dreyfus, celebre caso giudiziario avvenuto in Francia alla fine dell’Ottocento. L’ambientazione d’epoca è una cornice perfetta per mettere in scena, con fervido realismo, un racconto attualissimo che denuncia l’orrore delle meschinità dell’uomo di fronte ai propri interessi individuali. Il clima di persecuzione e di violazione costante della sfera privata non può che far pensare al clima plumbeo che si respira ancora nel presente, tra derive xenofobe e pericolose campagne infamanti che imperversano anche sui media. Co-sceneggiato da Polanski e da Robert Harris, autore del romanzo omonimo (2013) alla base del soggetto, L’ufficiale e la spia è un potente atto d’accusa capace di scuotere le coscienze, rigoroso nella scrittura tanto quanto nella messa in scena. La ricostruzione storica non lascia spazio a orpelli o inutili elementi di décor, concentrandosi sui gesti dei personaggi e sulla forza della parola. Girato in larga parte in interni, per accentuare la crescente sensazione di claustrofobia che incombe su Picquart, uomo di grande levatura morale immerso in un mondo alla deriva, il film mantiene un altissimo profilo drammaturgico, arricchendo costantemente la narrazione e seguendo una traiettoria di lineare limpidezza. Il titolo originale, J’accuse, che restituisce perfettamente il senso dell’opera, si riferisce all’articolo in difesa di Dreyfus firmato da Émile Zola subito dopo l’allontanamento di Picquart dall’esercito. Grande prova di Jean Dujardin, ma l’irriconoscibile Louis Garrel non gli è da meno. Fotografia di Pawel Edelman, musiche di Alexandre Desplat. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, dove ha ottenuto un meritato Gran Premio della Giuria.