M – Il mostro di Düsseldorf
M
1931
Paese
Germania
Generi
Thriller, Drammatico
Durata
117 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Fritz Lang
Attori
Peter Lorre
Ellen Widmann
Inge Landgut
Gustaf Gründgens
Friedrich Gnaß
Fritz Odemar
In una città tedesca (il cui nome non è mai pronunciato, ma è probabile che si tratti di Berlino, benché il titolo italiano richiami un fatto di cronaca accaduto a Düsseldorf), un maniaco getta nel panico la popolazione, adescando e uccidendo bambine. La polizia è sulle tracce del mostro da tempo, senza però ottenere risultati; per questo la malavita della città organizza una caccia all'uomo. Il sospettato principale è Hans Beckert (Peter Lorre), un uomo all'apparenza comune e insignificante.
Ispirandosi ai delitti commessi dai due serial killer Fritz Haarmann e Peter Kürten, Fritz Lang firma il suo primo film sonoro riuscendo a combinare alla perfezione le potenzialità del nuovo mezzo con una costruzione immaginifica che si rifà al cinema muto. Il suono è usato con valore espressivo e narrativo: il tema musicale fischiettato (Peer Gynt di Edvard Grieg) contraddistingue la comparsa in scena dell'assassino e lo condanna a essere scoperto, mentre i serratissimi dialoghi cadenzano il ritmo del racconto e ne arricchiscono la portata simbolica. Esemplificativa in tal senso la sequenza che in montaggio alternato accosta i capi della polizia a quelli della malavita, entrambi occupati a elaborare un piano per catturare l'assassino: le due azioni si svolgono in parallelo ma vengono messe in stretta relazione tra loro e gli scambi dialettici tra poliziotti e gangster si confondono, tanto che, in più di un'occasione, i personaggi presenti in una sala rispondono a domande che sono state poste nell'altra e viceversa. In questo modo Lang sottolinea i labili confini tra giustizia istituzionale e giustizia privata, certifica la coesistenza simbiotica tra la normalità quotidiana e il sottobosco criminale ed evidenzia l'impossibilità di stabilire in maniera netta e inequivocabile la distinzione tra Bene e Male. Tutti questi aspetti vengono radicalizzati ed esplicitati ulteriormente nello splendido monologo finale di Peter Lorre, momento in cui l'omicida subisce un processo sommario e si sfoga, confessando la propria colpa e al contempo giustificandosi sostenendo di essere mosso da una forza interiore inspiegabile che lo spinge a uccidere prescindendo dalla sua volontà. Dietro ogni uomo, quindi, c'è un potenziale assassino: uno dei temi cardine della poetica langhiana che il regista tedesco ribadisce con una serie di soluzioni visive evocative e audaci (le prime apparizioni del killer delegate esclusivamente alla comparsa della sua ombra, i primi piani dei rabbiosi volti dei partecipanti al processo, l'eloquente uso dei tagli di luce, la cura maniacale per i dettagli). Emerge così l'inquietante e angoscioso quadro di un'umanità feroce e mostruosa, dove la folla pronta al linciaggio non è meno terrificante del serial killer al centro del film.
Ispirandosi ai delitti commessi dai due serial killer Fritz Haarmann e Peter Kürten, Fritz Lang firma il suo primo film sonoro riuscendo a combinare alla perfezione le potenzialità del nuovo mezzo con una costruzione immaginifica che si rifà al cinema muto. Il suono è usato con valore espressivo e narrativo: il tema musicale fischiettato (Peer Gynt di Edvard Grieg) contraddistingue la comparsa in scena dell'assassino e lo condanna a essere scoperto, mentre i serratissimi dialoghi cadenzano il ritmo del racconto e ne arricchiscono la portata simbolica. Esemplificativa in tal senso la sequenza che in montaggio alternato accosta i capi della polizia a quelli della malavita, entrambi occupati a elaborare un piano per catturare l'assassino: le due azioni si svolgono in parallelo ma vengono messe in stretta relazione tra loro e gli scambi dialettici tra poliziotti e gangster si confondono, tanto che, in più di un'occasione, i personaggi presenti in una sala rispondono a domande che sono state poste nell'altra e viceversa. In questo modo Lang sottolinea i labili confini tra giustizia istituzionale e giustizia privata, certifica la coesistenza simbiotica tra la normalità quotidiana e il sottobosco criminale ed evidenzia l'impossibilità di stabilire in maniera netta e inequivocabile la distinzione tra Bene e Male. Tutti questi aspetti vengono radicalizzati ed esplicitati ulteriormente nello splendido monologo finale di Peter Lorre, momento in cui l'omicida subisce un processo sommario e si sfoga, confessando la propria colpa e al contempo giustificandosi sostenendo di essere mosso da una forza interiore inspiegabile che lo spinge a uccidere prescindendo dalla sua volontà. Dietro ogni uomo, quindi, c'è un potenziale assassino: uno dei temi cardine della poetica langhiana che il regista tedesco ribadisce con una serie di soluzioni visive evocative e audaci (le prime apparizioni del killer delegate esclusivamente alla comparsa della sua ombra, i primi piani dei rabbiosi volti dei partecipanti al processo, l'eloquente uso dei tagli di luce, la cura maniacale per i dettagli). Emerge così l'inquietante e angoscioso quadro di un'umanità feroce e mostruosa, dove la folla pronta al linciaggio non è meno terrificante del serial killer al centro del film.
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