Alcuni ragazzi (Jane Levy, Dylan Minnette e Daniel Zovatto) si introducono nella dimora di un uomo cieco (Stephen Lang) per commettere un crimine. Considerando le condizioni del padrone di casa, i giovani sono convinti che si tratti di una passeggiata, ma le cose non andranno come previsto.

Cercando di realizzare un film horror giocato sulla tensione drammaturgica più che su elementi fantasy o paranormali, Fede Alvarez firma un lavoro curioso e potenzialmente interessante, senza riuscire però a vincere del tutto la sfida registica. Man in the Dark, infatti, si nutre di momenti concitati riusciti e funzionali – pur basandosi su uno script e un'ambientazione piuttosto semplici – provando a far luce su tematiche spinose e delicate quali la solitudine (individuale e generazionale) di una nazione non più brillante e sfavillante come vorrebbe far credere o l'impotenza di un sogno (quello americano) per il quale si è disposti a tutto, persino a vivere veri e propri incubi. Eppure il film non sempre utilizza la marcia adeguata, cercando di far leva su scelte stilistiche facili ma fuori luogo (i continui colpi di scena che protraggono inutilmente la narrazione o gli eccessivi ralenti mirati a enfatizzare i momenti più salienti) e insistendo nel collocare ogni pezzo del puzzle in una sorta di cerchio perfetto, tanto semplice quanto ingenuo. Volendo mettere sempre più carne al fuoco, Alvarez sembra infine perdere il controllo della materia nella parte finale, dove l'ossimoro inerente al villain appare decisamente forzato e frettoloso. Da dimenticare la traduzione italiana del titolo: molto più indovinato l'originale Don't Breathe.