Ritratto della gioventù sbandata di Little Italy degli anni '70: al centro, il sensibile e tormentato Charlie (Harvey Keitel), combattuto tra le sue ambizioni sociali, che implicano la fedeltà allo zio mafioso, e la volontà di aiutare l'amico sregolato Johnny Boy (Robert De Niro), della cui cugina Teresa (Amy Robinson) è innamorato.
Giunto al terzo film di finzione, il talento di Scorsese esplode definitivamente in quest'opera appassionata e teneramente autobiografica che amplia i temi del seminale Chi sta bussando alla mia porta? (1967) e rappresenta una sorta di rivisitazione del felliniano I vitelloni (1953). Nella scombinata combriccola ritratta, spicca l'alter ego dell'autore, Charlie, uno dei tanti “santi dannati” scorsesiani: personaggio cristologico/francescano sospeso tra purezza d'animo e tentazione, tra l'adesione alle leggi distorte che regolano la genuina ma oppressiva comunità italo-americana e l'attrazione verso la diversità incarnata dall'epilettica Teresa e dal folle outsider Johnny Boy (un De Niro che ruba la scena allo stesso Keitel). Stilisticamente, il film mixa il gusto neorealista – evidente nelle riprese dal vero della festa di quartiere – la lezione di John Cassevetes e della Nouvelle Vague e l'omaggio all'amato cinema classico hollywoodiano. E tutto si amalgama alla perfezione, in questo cult pieno di sequenze indimenticabili che saranno riprese in tante pellicole a venire. Il cinema dell'autore italoamericano è già tutto qui, tra le luci rosse di una New York spietata, le note dei Rolling Stones e delle Ronettes, gli allucinati piani-sequenza e la violenza che fa capolino con programmatica costanza. In piccoli camei, appaiono il regista, la madre Catherine Scorsese e i fratelli Robert e David Carradine.