Un ladro simile a Cristo (Horacio Salinas) vaga tra misteriose figure religiose per poi recarsi in cima a una torre dove incontrerà un Alchimista (Alejandro Jodorowsky). Quest'ultimo lo conduce in un enigmatico viaggio spirituale, insieme a sette alieni e alla sua assistente (Zamira Saunders), per chiedere quale sia il senso della vita a nove saggi che abitano in cima a una montagna sacra. Con un budget di 750.000 dollari, fornito da John Lennon e Yoko Ono (tra i più grandi sostenitori della precedente opera di Alejandro Jodorowsky, El topo del 1970), il terzo lungometraggio del regista cileno – basato su Il monte analogo (1952) di René Daumal e su Salita del Monte Carmelo (1585) di San Giovanni della Croce – è un tour de force di deliri mistici e visioni simboliche, eccessi spiritualisti, violenza, sesso, blasfemia e liquidi corporei di ogni sorta. Un solenne simbolo del nuovo surrealismo allucinogeno di cui il trasgressivo cineasta di Tocopilla (qui anche costumista, scenografo, attore protagonista e compositore della colonna sonora) è uno degli esponenti più significativi: il regista trae la propria ispirazione tanto dall'arte cristiana e dalle carte dei tarocchi, quanto da Andy Warhol e dal rock anni '60, in una bizzarra quanto disomogenea commistione tra esoterismo e greve filosofia orientale. Il prologo, silenzioso ma caotico, affascina nell'evocare atmosfere di cupa crisi spirituale interiore ma, da quando inizia il viaggio, il film diventa indecifrabile in quasi ogni inquadratura, compiaciuto, a volte alienante e grandguignolesco fino al parossismo. La natura psichedelica de La montagna sacra si può legare ad alcune leggende che girano attorno alla pellicola, secondo cui Jodorowsky, per prepararsi a girare, si fosse dedicato a una settimana di continua meditazione privandosi di sonno e cibo, o che somministrasse funghi psilocybe cubensis al cast prima delle riprese. Il finale può essere (molto) amato o (molto) odiato.