No Time to Die
No Time to Die
2021
Amazon Prime Video
Paesi
Usa, Gran Bretagna
Generi
Thriller, Avventura, Azione
Durata
163 min.
Formato
Colore
Regista
Cary Fukunaga
Attori
Daniel Craig
Ralph Fiennes
Rami Malek
Léa Seydoux
Naomie Harris
Ben Whishaw
Rory Kinnear
Jeffrey Wright
Dali Benssalah
Lashana Lynch
Billy Magnussen
David Dencik
Ana de Armas
James Bond (Daniel Craig), dopo aver lasciato l'amata Madeleine Swann (Léa Seydoux) con cui si era ritirato a vita privata, è costretto a tornare nuovamente in servizio, in seguito a una richiesta di aiuto proveniente dall'amico fraterno Felix Leiter (Jeffrey Wright): una minaccia internazionale, che fa capo al misterioso terrorista Lyutsifer Safin (Rami Malek) e che vede contrapporsi CIA e MI6, deve essere fermata al più presto. Affiancato dall'agente segreto doppio zero Nomi (Lashana Lynch), 007 inizia un viaggio che lo porta a confrontarsi con se stesso come mai prima d'ora.
«Fool me once, fool me twice / Are you death or paradise? / Now you'll never see me cry / There's just no time to die». Giunta al 25° capitolo, con No Time to Die la saga di 007 subisce il suo più radicale e inaspettato stravolgimento, affrontando uno scardinamento dall'interno che attualizza il mito per approdare a un futuro altro. Un progetto di importanza capitale anche al di là dei confini bondiani, che getta nuova luce sulle innumerevoli possibilità di rinnovamento di un personaggio storicizzato all'interno dei canoni dell'entertainment. Per Neal Purvis, Robert Wade e Phoebe Waller-Bridge, autori della sceneggiatura insieme al regista Cary Fukunaga, l'archetipo bondiano deve intraprendere un percorso di purificazione che ne faccia emergere la sua essenza romantica e dolorosa, in cui entro la smaccata inverosimiglianza dei concept à la 007 potesse innestarsi uno squarcio di vita vera: la morte, più volte affrontata in maniera superficiale nel corso dei quasi sessant'anni del franchise, è qui una presenza che aleggia dura e impassibile sui personaggi, e il concetto di ricerca di affetti stabili (visto non solo in chiave simbolica con il rapporto padre-madre/figlio tra M e Bond) gioca un ruolo cruciale. Quello che va in scena è il lungo addio all'icona superomistica e ai suoi tópoi radicati nel tempo, in un viaggio moderno e attualissimo che non chiude semplicemente il "ciclo Craig", ma omaggia con struggente trasporto emotivo tutto l'arco evolutivo del fenomeno James Bond, da Agente 007 – Licenza di uccidere (1962), citato all'inizio dei titoli di testa firmati Daniel Kleinman, a Spectre (2015), da cui riprende in primis il personaggio centrale di Madeleine: si prenda ad esempio la scena del treno, tra le migliori del film e tra le più emblematiche in questo senso, in cui Craig sparisce dalla visuale di lei, come se i finestrini del vagone fossero i fotogrammi di una pellicola che scorrono prima che lui svanisca. No Time to Die non è un compitino citazionista o meramente nostalgico, ma lo straordinario (e speculare) controcampo di Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà (1969), magnificamente echeggiato anche nella partitura musicale di Hans Zimmer. Un film che è già nella storia della saga, di sopraffina portata teorica, che ragiona sul modello-Bond in funzione del mutamento del mondo che lo circonda (aspetto da sempre cruciale nell'analisi di 007 in termini di impatto culturale), e ne destruttura i canoni, portando progressivamente fuori dalla comfort zone abituale gli spettatori più consevatori, fino a culminare in un finale da brivido. Quella di Fukunaga è un'operazione limpida e cristallina, che vede per la prima volta il personaggio di James Bond in situazioni inedite, in costante rapporto dialogico con il presente: fondamentale, in questo senso, la capacità di Craig di modellare le sue movenze sulla base di questa nuova esigenza, affrontando qui in maniera davvero sostanziale un'attualizzazione del personaggio (molto più di quanto fatto in Casino Royale). Un film profondamente intimo e romantico, che nega la solennità della messa in scena di Sam Mendes (Skyfall, Spectre), per relazionarsi al mito con discrezione e (quasi) timore reverenziale. Meravigliosi tutti i personaggi, dietro a ciascuno dei quali si nasconde un mondo da scoprire, dallo "scienziato pazzo" russo, una chicca da Bond d'antan in pieno clima da Guerra fredda, fino alla figura chiave di Nomi, passando per Paloma (Ana de Armas), protagonista di un "ultimo spettacolo" al fianco di 007 pieno di sensualità e ironia. Un grande film, da metabolizzare e ripensare, in attesa del prossimo capitolo, perché "James Bond will return", come recitano i credits finali. Fotografia di Linus Sandgren scenografia di Véronique Melery, montaggio di Tom Cross e Elliot Graham. Le location, lontane dal glamour abituale, comprendono Matera, Marina di Pisticci, Gravina di Puglia, Maratea e Sapri in Italia, poi Giamaica, Norvegia, Danimarca, Scozia e Inghilterra.
«Fool me once, fool me twice / Are you death or paradise? / Now you'll never see me cry / There's just no time to die». Giunta al 25° capitolo, con No Time to Die la saga di 007 subisce il suo più radicale e inaspettato stravolgimento, affrontando uno scardinamento dall'interno che attualizza il mito per approdare a un futuro altro. Un progetto di importanza capitale anche al di là dei confini bondiani, che getta nuova luce sulle innumerevoli possibilità di rinnovamento di un personaggio storicizzato all'interno dei canoni dell'entertainment. Per Neal Purvis, Robert Wade e Phoebe Waller-Bridge, autori della sceneggiatura insieme al regista Cary Fukunaga, l'archetipo bondiano deve intraprendere un percorso di purificazione che ne faccia emergere la sua essenza romantica e dolorosa, in cui entro la smaccata inverosimiglianza dei concept à la 007 potesse innestarsi uno squarcio di vita vera: la morte, più volte affrontata in maniera superficiale nel corso dei quasi sessant'anni del franchise, è qui una presenza che aleggia dura e impassibile sui personaggi, e il concetto di ricerca di affetti stabili (visto non solo in chiave simbolica con il rapporto padre-madre/figlio tra M e Bond) gioca un ruolo cruciale. Quello che va in scena è il lungo addio all'icona superomistica e ai suoi tópoi radicati nel tempo, in un viaggio moderno e attualissimo che non chiude semplicemente il "ciclo Craig", ma omaggia con struggente trasporto emotivo tutto l'arco evolutivo del fenomeno James Bond, da Agente 007 – Licenza di uccidere (1962), citato all'inizio dei titoli di testa firmati Daniel Kleinman, a Spectre (2015), da cui riprende in primis il personaggio centrale di Madeleine: si prenda ad esempio la scena del treno, tra le migliori del film e tra le più emblematiche in questo senso, in cui Craig sparisce dalla visuale di lei, come se i finestrini del vagone fossero i fotogrammi di una pellicola che scorrono prima che lui svanisca. No Time to Die non è un compitino citazionista o meramente nostalgico, ma lo straordinario (e speculare) controcampo di Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà (1969), magnificamente echeggiato anche nella partitura musicale di Hans Zimmer. Un film che è già nella storia della saga, di sopraffina portata teorica, che ragiona sul modello-Bond in funzione del mutamento del mondo che lo circonda (aspetto da sempre cruciale nell'analisi di 007 in termini di impatto culturale), e ne destruttura i canoni, portando progressivamente fuori dalla comfort zone abituale gli spettatori più consevatori, fino a culminare in un finale da brivido. Quella di Fukunaga è un'operazione limpida e cristallina, che vede per la prima volta il personaggio di James Bond in situazioni inedite, in costante rapporto dialogico con il presente: fondamentale, in questo senso, la capacità di Craig di modellare le sue movenze sulla base di questa nuova esigenza, affrontando qui in maniera davvero sostanziale un'attualizzazione del personaggio (molto più di quanto fatto in Casino Royale). Un film profondamente intimo e romantico, che nega la solennità della messa in scena di Sam Mendes (Skyfall, Spectre), per relazionarsi al mito con discrezione e (quasi) timore reverenziale. Meravigliosi tutti i personaggi, dietro a ciascuno dei quali si nasconde un mondo da scoprire, dallo "scienziato pazzo" russo, una chicca da Bond d'antan in pieno clima da Guerra fredda, fino alla figura chiave di Nomi, passando per Paloma (Ana de Armas), protagonista di un "ultimo spettacolo" al fianco di 007 pieno di sensualità e ironia. Un grande film, da metabolizzare e ripensare, in attesa del prossimo capitolo, perché "James Bond will return", come recitano i credits finali. Fotografia di Linus Sandgren scenografia di Véronique Melery, montaggio di Tom Cross e Elliot Graham. Le location, lontane dal glamour abituale, comprendono Matera, Marina di Pisticci, Gravina di Puglia, Maratea e Sapri in Italia, poi Giamaica, Norvegia, Danimarca, Scozia e Inghilterra.
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