Oltre il giardino
Being There
1979
Paese
Usa
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
130 min.
Formato
Colore
Regista
Hal Ashby
Attori
Shirley MacLaine
Melvyn Douglas
Peter Sellers
Jack Warden
John Harkins
Il giardiniere Chance (Peter Sellers), analfabeta e timoroso, viene scambiato per un uomo di spiccate virtù intellettuali, nonostante non sappia nemmeno riprodurre la sua firma. È la tv a distorcerne la percezione, facendolo sembrare un genio agli occhi tutti.
Da un romanzo di Jerzy Kosinski, che ha firmato anche la sceneggiatura, Oltre il giardino è una parabola metaforica con affondi tetri e comici, che guarda all'America come a un universo schiavo del tubo catodico, unico arbitro in grado di stabilire categorie di valore e di sentenziare anche al di là di ogni evidenza concreta. Il protagonista, che per anni ha masticato solo tv e cartoni animati, è un contenitore vuoto, ma il bombardamento d'immagini cui è stato sottoposto lo rende, a sorpresa, perfettamente camuffabile: un falso più autentico del previsto, proprio come lo sono le immagini del piccolo schermo. Hal Ashby (Harold e Maude del 1971 e L'ultima corvée del 1973) firma una delle sue migliori regie, giocando con il medium televisivo e i suoi paradossi, e trasformando ogni immagine in un'unghiata contro la realtà del piccolo schermo, senza rinunciare, contemporaneamente, a quella dose di stropicciata malinconia e di asettico candore che rendono il personaggio di Peter Sellers colmo di fascino e di tristissima bellezza. Un uomo che fin dal nome pare raccogliere su di sé un'istanza collettiva, una possibilità (chance, appunto) che nel mondo della tv può spettare davvero a chiunque. La prova di Sellers, alla sua penultima interpretazione, è semplicemente geniale, minimalista ma anche disperata, specchio di un'umanità ancor più sconfinata. Oscar come miglior attore non protagonista a Melvyn Douglas.
Da un romanzo di Jerzy Kosinski, che ha firmato anche la sceneggiatura, Oltre il giardino è una parabola metaforica con affondi tetri e comici, che guarda all'America come a un universo schiavo del tubo catodico, unico arbitro in grado di stabilire categorie di valore e di sentenziare anche al di là di ogni evidenza concreta. Il protagonista, che per anni ha masticato solo tv e cartoni animati, è un contenitore vuoto, ma il bombardamento d'immagini cui è stato sottoposto lo rende, a sorpresa, perfettamente camuffabile: un falso più autentico del previsto, proprio come lo sono le immagini del piccolo schermo. Hal Ashby (Harold e Maude del 1971 e L'ultima corvée del 1973) firma una delle sue migliori regie, giocando con il medium televisivo e i suoi paradossi, e trasformando ogni immagine in un'unghiata contro la realtà del piccolo schermo, senza rinunciare, contemporaneamente, a quella dose di stropicciata malinconia e di asettico candore che rendono il personaggio di Peter Sellers colmo di fascino e di tristissima bellezza. Un uomo che fin dal nome pare raccogliere su di sé un'istanza collettiva, una possibilità (chance, appunto) che nel mondo della tv può spettare davvero a chiunque. La prova di Sellers, alla sua penultima interpretazione, è semplicemente geniale, minimalista ma anche disperata, specchio di un'umanità ancor più sconfinata. Oscar come miglior attore non protagonista a Melvyn Douglas.
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