Il profondo desiderio degli dei
Kamigami no fukaki yokubô
1968
Paese
Giappone
Generi
Drammatico, Avventura
Durata
173 min.
Formato
Colore
Regista
Shōhei Imamura
Attori
Rentarō Mikuni
Chōichirō Kawarasaki
Kazuo Kitamura
Hideko Okiyama
Yasuko Matsui
Yoshi Katô
Nell'immaginaria isola di Kurage, a sud-ovest del Giappone, gli abitanti conducono una vita semi-primitiva, vincolati a credenze e superstizioni di ogni tipo. Fra di loro c'è la famiglia Futori che, sospettata di praticare l'incesto, è stata emarginata e costretta a espiare la propria colpa. Un giorno arriva da Tokyo l'ingegnere Kariya (Kazuo Kitamura): il suo compito è di supervisionare la costruzione di un pozzo d'acqua necessario alla locale raffineria di zucchero. Prodotto dalla Nikkatsu e, in parte minore, dalla Imamura Productions, è il film più ambizioso mai diretto da Shōhei Imamura (quasi tre ore di durata nel montaggio definitivo, diciotto mesi di lavorazione a fronte dei sei previsti), nonché la sua prima esperienza con la pellicola a colori. Risultato: un flop al botteghino, che ha determinato in ultima battuta l'auto-esilio del regista dal cinema di fiction per oltre un decennio. Giunto al suo decimo lungometraggio, Imamura radicalizza l'interesse antropologico su cui ha modellato la propria poetica a partire da Cronache entomologiche del Giappone (1963), e affronta di petto la questione sull'identità giapponese, forse in parte influenzato dal coevo sviluppo del nihonjinron (produzione di testi sociologici e psicologici sulla società giapponese). In un tempo imprecisato, al confine fra mito e presente, va in scena la sostituzione silenziosa di un mondo rurale e primitivo con uno moderno e tecnologicizzato. Cronaca drammatica della sparizione di una civiltà o racconto allegorico del Giappone occidentalizzato del dopoguerra? Imamura, come di consueto, non dà risposte e non emette giudizi: se la modernizzazione porta con sé oblio e distruzione, la vita tradizionale non è di per sé migliore, carica com'è di superstizioni brutali e disumane. Resta il fascino irrazionale di un'esistenza più libera e autentica, governata da una sessualità selvaggia e primordiale che, anche solo per un attimo, riesce a illudere l'uomo di salire allo stesso livello degli dei. Sceneggiato dal surrealista Keiji Hasebe e girato sull'isola di Ishigaki nell'arcipelago di Okinawa, è un'opera potente e squilibrata, visionaria e disordinata, grandiosa ma non magniloquente, che nel suo incedere rapsodico e indisciplinato chiude formalmente la prima importante fase del cinema del suo autore.
Maximal Interjector
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