Johnny Clay (Sterling Hayden), da poco uscito di galera, organizza una rapina da due milioni di dollari in un ippodromo. I suoi complici sono il cassiere del posto, il barista, un poliziotto corrotto, un cecchino, un ex alcolizzato e un lottatore. Tutto è studiato alla perfezione, ma non tutti gli imprevisti possono essere programmati.
Tratto dal romanzo Clean Break di Lionel White, si tratta del terzo lungometraggio di Stanley Kubrick e in assoluto della sua prima opera davvero importante. Il regista scrisse la sceneggiatura facendosi aiutare da Jim Thompson (noto autore di romanzi noir), che si occupò dei dialoghi: scandito da una voce narrante che detta perfettamente i tempi dell'azione, Rapina a mano armata più che un “semplice” film di genere è un'operazione dalla struttura narrativa sperimentale e innovativa, tanto che si potrebbe definirla una pellicola postmoderna ante litteram. Andando avanti e indietro sulla linea temporale dell'azione, il film ci mostra, alternandoli, i vari membri della banda pronti a rapinare l'ippodromo: le stesse azioni vengono ripetute da diversi punti di vista (non siamo tanto distanti da quello che ha fatto Quentin Tarantino, quasi quarant'anni dopo, con Pulp Fiction, del 1994) e il complesso mosaico drammaturgico prenderà una sua forma soltanto con il passare dei minuti. Il ritmo è incessante, la confezione di altissima fattura, ma ciò che colpisce di più è il grande spessore psicologico che Kubrick ha dato a ognuno dei suoi personaggi: notevole, in particolare, la descrizione del rapporto coniugale tra il timido cassiere George, interpretato dal grande caratterista Elisha Cook Jr., e la moglie Sherry, femme fatale che metterà i bastoni tra le ruote all'intera operazione. Dopo l'uscita di questo film, la critica americana iniziò a considerare Kubrick (che all'epoca aveva solo ventotto anni) uno dei più importanti registi in circolazione e Orson Welles lo definì un “gigante”.