Jack Torrance (Jack Nicholson), insegnante disoccupato e aspirante scrittore, accetta di fare il guardiano all'Overlook Hotel durante la chiusura invernale. Il direttore lo avverte che il custode precedente impazzì, uccidendo la moglie e le sue due figlie prima di suicidarsi. Jack, ben poco preoccupato dalle parole del responsabile dell'albergo e deciso a scrivere il suo nuovo romanzo approfittando dell'isolamento, vi si stabilisce con la moglie (Shelley Duvall) e il figlio Danny (Danny Lloyd), dotato di poteri extra-sensoriali. Il soggiorno sarà ben diverso da come la famiglia aveva immaginato.
Tratto da uno dei primi romanzi di Stephen King, riplasmato mirabilmente da Stanley Kubrick, Shining è un angosciante e sublime viaggio negli abissi della mente umana. Dopo aver lavorato con il cinema di guerra (Orizzonti di gloria, del 1957), con la fantascienza (2001: Odissea nello spazio, del 1968) e con il film storico (Barry Lyndon, del 1975), Kubrick affonda la sua cinepresa nel genere horror, rinnovandolo e portandolo a una vetta di spessore drammaturgico e narrativo mai raggiunta in precedenza. I claustrofobici corridoi dell'Overlook Hotel riflettono la struttura del cervello umano, la graduale discesa nella follia del protagonista, che si trova sperduto in un labirinto di orrori, loop temporali e paranoie da cui non potrà più uscire. Non si tratta però di una “semplice” storia horror, ma di una lucida e inquietante rappresentazione della crisi della famiglia contemporanea, accompagnata da una rigorosa cura formale e da espressivi virtuosismi tecnici: in primis, la steadicam, perfezionata qualche anno prima e in grado di compiere fluide riprese ad altezza d'uomo (o, in questo caso, anche di triciclo). Diversi i riferimenti filosofici (dalle teorie di Freud sul “perturbante”, l'unheimlich, a quelle di Nietzsche sull'“eterno ritorno”), artistici (le fotografie di Diane Arbus come modello per le “gemelline”) e cinematografici (la scena di Jack Nicholson che distrugge una porta con l'accetta è un omaggio a un momento de Il carretto fantasma, del 1921, di Victor Sjӧstrӧm). Le sequenze memorabili non si contano e la performance di Jack Nicholson è entrata di diritto nella storia del cinema. Il proverbio «Il mattino ha l'oro in bocca», dopo questo film, non verrà mai più pronunciato a cuor leggero. Nella versione originale, la frase ripetuta ossessivamente sulla macchina da scrivere è: «All work and no play makes Jack a dull boy» (traducibile come “troppo lavoro e nessun divertimento rincretiniscono Jack”).