Santa Maud
Saint Maud
2019
Paese
Gran Bretagna
Genere
Horror
Durata
84 min.
Formato
Colore
Regista
Rose Glass
Attori
Morfydd Clark
Jennifer Ehle
Lily Knight
Lily Frazer
Maud (Morfydd Clark) è un’ex-infermiera che, dopo un incidente avvenuto sul luogo di lavoro, decide di fare la badante per poter continuare ad occuparsi delle persone più fragili. Forte della sua cieca fede, la ragazza vive il nuovo incarico per la ballerina Amanda Kohl (Jennifer Ehle) come l’occasione per redimere l’anima della donna, costretta ora in sedie a rotelle. Tra amici di vecchia data, giovani prostitute e feste mondane, quella che poteva sembrare una semplice prova si trasforma nella sfida decisiva per testare la sua devozione.
Santa Maud è un horror religioso costruito sui due grandi opposti, perfettamente riassunti dalla sequenza iniziale che passa dall’antisettica e spenta stanza di ospedale al rosso ribollente di una pentola di pomodoro. Dio nel film è onnipresente ed è come se all’inizio assumessimo proprio la sua prospettiva, osservando la protagonista dall’alto. Il percorso di fede dello spettatore segue quello di Maud che ascoltiamo in voice over nel suo dialogo con l’ultraterreno. I lineamenti di Morfydd Clark ricordano quelli di un dipinto fiammingo e le sue espressioni alienate e alienanti complicano la distinzione tra punti di vista oggettivi e soggettivi. Il lavoro della regista esordiente Rose Glass parte proprio dallo sguardo: nello sfogliare le incisioni e miniature di William Blake, anch’egli mosso da una fede individuale, la macchina da presa indugia sugli occhi della ragazza, incapaci di fermarsi. Movimenti di macchina fortemente geometrici seguono la protagonista quando è saldamente in controllo, virtuosistici capovolgimenti riflettono l’insinuarsi del dubbio. Tante le possibili citazioni: se una trance elettrica richiama forse al David Lynch di Twin Peaks (le pareti zigrinate sono in tal senso significative), è invece esplicito il parallelismo tra Amanda Kohl e la Norma Desmond di Viale del tramonto, la quale sembra in alcuni momenti letteralmente riprender vita. Il linfoma che affligge la ballerina è sintomo anche di una profonda riflessione sul copro, perfetto contraltare alla dimensione spirituale: Maud è sana, ma per aiutare Amanda deve poterne condividere la penitenza corporale. Molte le preghiere, le abluzioni e i gesti rituali, ma è solo nel biblico scontro finale che è finalmente possibile capire sino a che punto la fede possa vacillare. L’ultima inquadratura lancia infatti un grosso punto interrogativo: se è indubbio che Maud creda, cosa poter dire dello spettatore? Discutibili effetti speciali in digitale si scontrano con la cruda rappresentazione della realtà e così il gioco sulla sospensione dell'incredulità trova nella fede in Dio un’interessante possibilità di variazione.
Santa Maud è un horror religioso costruito sui due grandi opposti, perfettamente riassunti dalla sequenza iniziale che passa dall’antisettica e spenta stanza di ospedale al rosso ribollente di una pentola di pomodoro. Dio nel film è onnipresente ed è come se all’inizio assumessimo proprio la sua prospettiva, osservando la protagonista dall’alto. Il percorso di fede dello spettatore segue quello di Maud che ascoltiamo in voice over nel suo dialogo con l’ultraterreno. I lineamenti di Morfydd Clark ricordano quelli di un dipinto fiammingo e le sue espressioni alienate e alienanti complicano la distinzione tra punti di vista oggettivi e soggettivi. Il lavoro della regista esordiente Rose Glass parte proprio dallo sguardo: nello sfogliare le incisioni e miniature di William Blake, anch’egli mosso da una fede individuale, la macchina da presa indugia sugli occhi della ragazza, incapaci di fermarsi. Movimenti di macchina fortemente geometrici seguono la protagonista quando è saldamente in controllo, virtuosistici capovolgimenti riflettono l’insinuarsi del dubbio. Tante le possibili citazioni: se una trance elettrica richiama forse al David Lynch di Twin Peaks (le pareti zigrinate sono in tal senso significative), è invece esplicito il parallelismo tra Amanda Kohl e la Norma Desmond di Viale del tramonto, la quale sembra in alcuni momenti letteralmente riprender vita. Il linfoma che affligge la ballerina è sintomo anche di una profonda riflessione sul copro, perfetto contraltare alla dimensione spirituale: Maud è sana, ma per aiutare Amanda deve poterne condividere la penitenza corporale. Molte le preghiere, le abluzioni e i gesti rituali, ma è solo nel biblico scontro finale che è finalmente possibile capire sino a che punto la fede possa vacillare. L’ultima inquadratura lancia infatti un grosso punto interrogativo: se è indubbio che Maud creda, cosa poter dire dello spettatore? Discutibili effetti speciali in digitale si scontrano con la cruda rappresentazione della realtà e così il gioco sulla sospensione dell'incredulità trova nella fede in Dio un’interessante possibilità di variazione.
Iscriviti
o
Accedi
per commentare