Poco tempo dopo gli eventi di Avengers: Endgame, Peter Parker (Tom Holland) va in gita scolastica estiva in Europa con i suoi compagni di classe, ma viene reclutato da Nick Fury (Samuel L. Jackson) per collaborare con Mysterio (Jake Gyllenhaal) e combattere gli Elementali, provenienti da un'altra dimensione.
Sequel di Spider-Man: Homecoming (2017), il secondo film di Jon Watts, dedicato alle gesta dell’Uomo Ragno interpretato da Tom Holland, porta avanti le avventure del 16enne del Queens e lo catapulta in un sorprendente viaggio nel Vecchio Continente, da Venezia a Londra, passando per l’Olanda ma anche per Praga e Londra, corredate dalla iconiche location del Ponte Carlo e del Tower Bridge. Un’avventura in grande stile che, facendo il pieno di ironia gustosissima e del giusto approccio alla confezione da teen movie romantico, conclude ottimamente la fase 3 del Marvel Cinematic Universe e sposta in avanti, con lucidità e profondità, la psicologia di un sempre più tormentato Spider-Man, carico come non mai di grandi poteri e ancor più ingombranti responsabilità. Tutto il film, in fondo, si configura come una riflessione sui conti da fare con l’eredità pregressa, a conclusione di un percorso straordinario in termini di impatto commerciale e cura editoriale. Non solo quella, ovvia, dell’immediatamente precedente campione d’incassi Avengers: Endgame (2019), ma anche il retaggio di un’altra Spada di Damocle multi-milionaria: quel Tony Stark, re giullare indiscusso di casa Marvel e fresco di dipartita, il cui lascito condiziona profondamente la vita e le scelte del giovane Peter, incrociando il dolore della crescita e gli strascichi di un’investitura molto pesante. Attualissime anche le implicazioni metaforiche del progetto, che a tratti lascia trasparire un’idea di leggerezza fin troppo esile e scacciapensieri ma che nella sostanza riesce a parlare, attraverso un linguaggio fresco e accessibile, di temi di grande risonanza: la componente più illusoria e insidiosa della tecnologia, tra ologrammi e realtà aumentata; il superamento della verità oggettiva già caro a George Orwell; il concetto più che mai contemporaneo e scottante di post-verità. Riflessioni incarnate appieno dal villain di turno, il Mysterio di Jake Gyllenhaal, il cui apporto coreografico regala una sorprendente e lussureggiante sequenza psichedelica a scatole cinesi, tra gli esiti più lisergici e avanzati, in termini d’impatto visivo, mai prodotti dalla Casa delle Idee sul grande schermo. Quentin Beck - questo il vero nome del supercattivo - proviene non a caso da un pianeta Terra alternativo e da una dimensione parallela sprigionatasi dallo schiocco di dita di Thanos, in continuità con la nozione di multiverso già esplorata a meraviglia da Spider-Man: Un nuovo universo (2018). Zendaya interpreta Michelle Jones, variante di Mary-Jane Watson che aggiorna la figura della fidanzata di Peter Parker tenendo testa al protagonista con un carattere molto più spigoloso del solito, che produce una tensione amorosa originale. In colonna sonora, complice la parentesi lagunare, molti brani italiani, da Stella Stai di Umberto Tozzi a Bongo Cha Cha Cha di Caterina Valente passando per Amore di tabacco di Mina. Dedicato alla memoria di Steve Ditko e Stan Lee, creatori dell’amichevole “Spider-Man di quartiere”, scomparsi a giugno e a novembre del 2018.