Le cose che verranno
L' avenir
2016
Paesi
Francia, Germania
Genere
Drammatico
Durata
100 min.
Formato
Colore
Regista
Mia Hansen-Løve
Attori
Isabelle Huppert
André Marcon
Roman Kolinka
Edith Scob
Sarah Le Picard
Nathalie (Isabelle Huppert), insegnante di filosofia in un liceo parigino, vede la sua esistenza a un bivio quando, inaspettatamente, viene lasciata dal marito Heinz (André Marcon) dopo venticinque anni di matrimonio. Allontanatasi anche dai due figli adolescenti, la donna cerca di fare ordine nella propria vita attraverso il rapporto con l'eccentrica madre malata (Edith Scob) e la sincera amicizia con un suo ex alunno (Roman Kolinka) diventato uno scrittore dallo spirito libero.
Al suo quinto lungometraggio, Mia Hansen-Løve scrive e dirige un ritratto esistenziale incentrato sulla figura della protagonista Isabelle Huppert, rimanendo fedele al proprio stile minimale. Donna intrisa di cultura, perennemente distaccata dalla realtà e dagli affetti primari, Nathalie sembra non riuscire ad applicare il suo sapere umanistico alla vita reale che la circonda: il lume della ragione (non a caso si cita più volte Rousseau) deve piegarsi alle sfuggenti dinamiche dei sentimenti, l'assenza di certezze non può che costringere a riporre speranza verso il futuro. Un film intellettualistico, in cui la parola domina sull'immagine, costruito come un continuo vagare alla ricerca di una quadratura necessaria. Ma il disegno complessivo non ha la spontaneità e la freschezza che ci si aspetta da un cinema di spiccata matrice francese come questo e le suggestioni provenienti dalla poetica di Assayas, marito della regista, si fermano a un livello troppo ordinario. Piatto con stile, grazie a un buon controllo della messa in scena che nobilita (in parte) una materia narrativa che rimastica stancamente la solita parabola malinconica sul passare del tempo e la frustrante percezione di non sentirsi realizzati. Un'opera fuori tempo massimo, che non ha margine per proporre un approccio nuovo sulla base di una vicenda così demodé. Menzione speciale per la figura della madre, davvero riuscita e originale. Vincitore dell'Orso d'argento per la miglior regia al Festival di Berlino 2016.
Al suo quinto lungometraggio, Mia Hansen-Løve scrive e dirige un ritratto esistenziale incentrato sulla figura della protagonista Isabelle Huppert, rimanendo fedele al proprio stile minimale. Donna intrisa di cultura, perennemente distaccata dalla realtà e dagli affetti primari, Nathalie sembra non riuscire ad applicare il suo sapere umanistico alla vita reale che la circonda: il lume della ragione (non a caso si cita più volte Rousseau) deve piegarsi alle sfuggenti dinamiche dei sentimenti, l'assenza di certezze non può che costringere a riporre speranza verso il futuro. Un film intellettualistico, in cui la parola domina sull'immagine, costruito come un continuo vagare alla ricerca di una quadratura necessaria. Ma il disegno complessivo non ha la spontaneità e la freschezza che ci si aspetta da un cinema di spiccata matrice francese come questo e le suggestioni provenienti dalla poetica di Assayas, marito della regista, si fermano a un livello troppo ordinario. Piatto con stile, grazie a un buon controllo della messa in scena che nobilita (in parte) una materia narrativa che rimastica stancamente la solita parabola malinconica sul passare del tempo e la frustrante percezione di non sentirsi realizzati. Un'opera fuori tempo massimo, che non ha margine per proporre un approccio nuovo sulla base di una vicenda così demodé. Menzione speciale per la figura della madre, davvero riuscita e originale. Vincitore dell'Orso d'argento per la miglior regia al Festival di Berlino 2016.
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