Umberto D.
1952
Paese
Italia
Genere
Drammatico
Durata
89 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Vittorio De Sica
Attori
Carlo Battisti
Maria Pia Casilio
Lina Gennari
Elena Rea
Memmo Carotenuto
Ileana Simova
In una Roma indifferente e ostile, l'anziano Umberto Domenico Ferrari (Carlo Battisti) cerca di sopravvivere con una misera pensione di 18.000 lire al mese. Reduce da un ricovero ospedaliero, sfrattato dall'odiosa padrona di casa (Lina Gennari), con l'unica compagnia dell'amato cagnolino e di una servetta incinta (Maria Pia Casilio), cade preda di un profondo sconforto, che lo porterà sull'orlo del suicidio.
«Nel dolore gli uomini tornano, per una intrinseca esigenza dello spirito, a quelle verità lontane e fondamentali che sono alla base della nostra cultura, della nostra fede, della nostra stessa natura». Meraviglioso e straziante apologo sulle miserie della vecchiaia, diretto da Vittorio De Sica e scritto da Cesare Zavattini, che colpisce l'animo dello spettatore grazie a una linearità sommessa e dolente (incarnata dallo stesso protagonista, prototipo del borghese ingrigito da un'esistenza alienante). La poetica del pedinamento, tratto distintivo della corrente neorealista cui il film è giustamente ascritto, riesce a stigmatizzare le sofferenze, la solitudine, l'inadeguatezza connaturate all'essere umano, superando però in corsa l'intento documentaristico ed elevando il film a simbolo universale di soprusi e ingiustizie. Una satira feroce contro i meccanismi del potere (la repellente figura della padrona di casa, pronta a tutto pur di garantirsi un guadagno personale; la melliflua monaca, interpretata da Elena Rea, che offre un prolungato soggiorno in ospedale in cambio di rosari e garanzie di fede), calzante nel denunciare le contraddizioni di un Paese ipocrita e l'impotenza di chi è ormai escluso dal contesto sociale. De Sica si schiera apertamente dalla parte dei reietti ed esalta il meccanismo di identificazione con il protagonista, orchestrando un climax quasi insostenibile, culminante nel tentato suicidio: sequenza ormai eternizzata dal lavoro di montaggio, che crea una vis tensiva di devastante potenza emozionale. Capolavoro cupo e imprescindibile, permeato da una vena di crudeltà disturbante e nichilista, ma funzionale al concetto di «sofferenza come sola via d'uscita per tornare a vivere» (Gualtiero De Santi). Straordinaria fotografia di G. R. Aldo, che simbolizza gli stati d'animo del personaggio grazie a contrasti chiaroscurali e angolazioni dilatate; musiche di Alessandro Cicognini. Carlo Battisti, glottologo e attore dilettante, si rivelò semplicemente perfetto. Dedicato a Umberto De Sica, padre di Vittorio.
«Nel dolore gli uomini tornano, per una intrinseca esigenza dello spirito, a quelle verità lontane e fondamentali che sono alla base della nostra cultura, della nostra fede, della nostra stessa natura». Meraviglioso e straziante apologo sulle miserie della vecchiaia, diretto da Vittorio De Sica e scritto da Cesare Zavattini, che colpisce l'animo dello spettatore grazie a una linearità sommessa e dolente (incarnata dallo stesso protagonista, prototipo del borghese ingrigito da un'esistenza alienante). La poetica del pedinamento, tratto distintivo della corrente neorealista cui il film è giustamente ascritto, riesce a stigmatizzare le sofferenze, la solitudine, l'inadeguatezza connaturate all'essere umano, superando però in corsa l'intento documentaristico ed elevando il film a simbolo universale di soprusi e ingiustizie. Una satira feroce contro i meccanismi del potere (la repellente figura della padrona di casa, pronta a tutto pur di garantirsi un guadagno personale; la melliflua monaca, interpretata da Elena Rea, che offre un prolungato soggiorno in ospedale in cambio di rosari e garanzie di fede), calzante nel denunciare le contraddizioni di un Paese ipocrita e l'impotenza di chi è ormai escluso dal contesto sociale. De Sica si schiera apertamente dalla parte dei reietti ed esalta il meccanismo di identificazione con il protagonista, orchestrando un climax quasi insostenibile, culminante nel tentato suicidio: sequenza ormai eternizzata dal lavoro di montaggio, che crea una vis tensiva di devastante potenza emozionale. Capolavoro cupo e imprescindibile, permeato da una vena di crudeltà disturbante e nichilista, ma funzionale al concetto di «sofferenza come sola via d'uscita per tornare a vivere» (Gualtiero De Santi). Straordinaria fotografia di G. R. Aldo, che simbolizza gli stati d'animo del personaggio grazie a contrasti chiaroscurali e angolazioni dilatate; musiche di Alessandro Cicognini. Carlo Battisti, glottologo e attore dilettante, si rivelò semplicemente perfetto. Dedicato a Umberto De Sica, padre di Vittorio.
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