Il 22 giugno 1983 la quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, scompare misteriosamente nel nulla. Ben presto si capisce che la sparizione coinvolge diversi poteri forti – dal Vaticano alla Banda della Magliana – e, a più di trent’anni di distanza, la verità non è ancora venuta a galla.

Segue tre piani temporali differenti Roberto Faenza, per questo film-inchiesta su uno dei casi che ha maggiormente scosso l’Italia degli anni Ottanta: i giorni successivi alla scomparsa della ragazza, la serie di interviste raccolte da una giornalista (Valentina Lodovini) circa vent’anni dopo e il ritorno sul caso da parte di un’inviata di un quotidiano londinese (Maya Sansa) interessata ai più recenti sviluppi di Mafia Capitale. Le basi per dare vita a un giallo politico di grande spessore c’erano tutte, ma il regista fatica a tenere le redini del progetto e si limita a dare vita a una struttura scolastica, in cui si passa schematicamente da un’epoca all’altra. Gli intenti d’indagine sarebbero anche nobili, ma manca un’estetica cinematografica degna di tale nome e la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un esempio di fiction televisiva di medio-basso livello, più che a un film impegnato e realmente credibile. Piuttosto goffi, i dialoghi rendono ancor meno realistico il tutto (si pensi all’intervista fatta al fratello della Orlandi): il risultato è un film di denuncia che non coinvolge e, fatto ancor più grave visto il soggetto di partenza, non riesce quasi mai a interessare.