Attraverso diversi cortometraggi presentati nella sezione competitiva (Home, Khadiga, On The Surface e Hot Sun) ma anche grazie all’atteso The Gravedigger’s Wife di Khadar Ayderus Ahmed, l’Africa, con la sua bellezza ma, soprattutto, con le sue problematiche è al centro della sesta giornata della 31esima edizione del FESCAAAL. Completano una grande giornata di cinema Amparo e Whether The Weather Is Fine, entrambi presenti nel Concorso Lungometraggi “Finestre sul mondo”, oltre a L’America non c’è e La leggenda dell’albero segreto, i quali invece gareggeranno per il Premio al Miglior Film EXTR’A.
CONCORSO CORTOMETRAGGI AFRICANI
Home di Myriam Uwiragiye Birara, primo corto della giornata, è un intenso e vigoroso ritratto delle ingiustizie subite dalle donne ruandesi, merci di scambio in matrimoni combinati che rappresentano la fine di una vita, forse mai veramente iniziata. Sin da bambine infatti, viene insegnato loro come essere delle ottime moglie per i loro futuri mariti. Kamana, solo uno delle tante che condivide questo destino, prova a salvarsi dal marito violento rivolgendosi alla sua famiglia. Ciò che trova non è però una famiglia amorevole: le parole del fratello nel finale, unite al viso sofferto e dolente della magnifica protagonista, portano lo spettatore a provare un sentimento di disgusto quasi impossibile da sopprimere.
Morad Mostafa, regista di Khadiga, non si tira indietro di fronte ad uno dei crimini più aberranti concepibili dall’essere umano: l’infanticidio. Ancor più coraggiosa è la preparazione dell’empio atto: lucida nel ridurla ad una conseguenza, quasi naturale, di una vita senza affetti, appesantita dalla totale responsabilità di crescere un figlio senza alcun aiuto, sia fisico che mentale. Nonostante la giovane protagonista abbandoni una parte di sé, la scissione interiore sembra quasi essere controllabile. Il solo dubbio che sia possibile, fa rabbrividire lo spettatore.
Sorprende la cortissima opera di Fan Sissoko, On The Surface. La semplicità dell’animazione culla l’occhio e lascia libero l’orecchio di farsi trasportare dai fiumi di parole, i quali si rivelano una sentita e poetica confessione della regista. Bastano soli quattro minuti a trasmettere tutte le difficoltà dell’essere una giovane immigrata. Trovandosi a metà strada tra la cultura del luogo e quella di origine della madre, Fan si ritrova alla deriva del mare islandese. Imparare a dominarlo, esattamente come la paura, rappresenta il primo passo per costruire delle nuove radici.
Hot Sun, titolo del corto di Joash Omondi, è la letterale traduzione in inglese del termine “Jua Kali”. L’espressione è però utilizzata per indicare quei lavoratori che possono sistemare qualsiasi cosa e quindi, all’interno di questa categoria, rientrano tutti coloro che si occupano delle pulizie domestiche. Il regista sceglie di osservare la loro prospettiva sul mondo poiché costituiscono un punto di incontro attraverso la quale mostrare sia i privilegiati, che le persone che lavorano per loro. Si viene a costruire un puzzle di vari episodi, tutti di scene quotidiana che, senza l’uso di alcuna parola, mostrano proprio attraverso la prossimità di questi due mondi, l’infinita differenza che li separa.
CONCORSO LUNGOMETRAGGI “FINESTRE SUL MONDO”
Primo pellicola della giornata presente nel Concorso Lungometraggi “Finestre sul mondo” è Amparo di Simón Mesa Soto. Il titolo, prende il nome dell’assoluta protagonista, il 4:3 invece inquadra il suo volto, unico punto catalizzatore dell’attenzione dello spettatore. È attraverso di esso che comprendiamo il suo amore per il figlio (arruolato a forza nell'esercito per essere inviato in una zona di guerra molto pericolosa), il disprezzo nei confronti dell’istituzioni i quali, “rapiscono” Elias, ma accettano volentieri un riscatto per liberarlo, la stanchezza causata dal lavoro e la tristezza derivata dalle vessazioni alla quale è costantemente costretta, in primis dalla madre che non perde mai occasione per rimproverargli la cattiva educazione dei nipoti. Non stupisce quindi che durante lo scorso Festival di Cannes, Sandra Melissa Torres, sia stata premiata con il Premio Rising Star alla miglior attrice emergente. Il suo volto prismatico cattura la luce e l’oscurità che la circonda e la restituisce al pubblico con una performance memorabile, incorniciata, come detto, con grande maestria dal regista che, in più di un’occasione, sceglie di utilizzare l’attrice come specchio degli avvenimenti, mostrandoceli quindi in una forma filtrata e maggiormente ricca.
Dopo esser stato presentato nel Festival di Cannes 2021 e aver raccolto svariati premi nel mondo (come nei festival di Toronto e Oslo), arriva finalmente la prima proiezione nelle sale italiane di The Gravedigger’s Wife di Khadar Ayderus Ahmed, apprezzatissima love story a sfondo sociale ambientata nella periferia della città di Gibuti. Qui, Guled cerca di provvedere alla moglie Nasra e al figlio Malad, lavorando come becchino. La situazione diventa ancor più difficile quando è costretto a trovare, in brevissimo tempo, i soldi necessari per pagare l’operazione che potrebbe salvare la vita della moglie. Alla ricerca della somma di denaro necessaria, egli intraprende un viaggio, attraverso l’ipnotizzante deserto che lo separa dalla sua famiglia originaria (dalla quale era fuggito). Nonostante sia una coproduzione europea, il film, grazie alla regia di Ahmed (somalo immigrato in Finlandia), sfida il tradizionale sguardo cinematografico europeo sull'Africa. Egli infatti, non si sofferma esclusivamente sulla miseria del suo continente ma cerca di raccontare la storia dell’incredibile amore tra Gueld e Nasra, con dignità e tenerezza. Certo nel film emergono tutte le problematiche proprie del Gibuti e dell’Africa intera ma questo, secondo il regista, non deve inficiare la delicatezza e la poesia insite nel ricordo del loro amore.
Bizzarro ibrido tra “coming of age” e film apocalittico, Whether The Weather Is Fine narra del viaggio di Miguel tra le macerie della sua Tacloban, colpita da un tifone. Nel percorso incontra e, successivamente si libera della madre e della fidanzata, impegnate in percorso di ricostruzione personale diverso da quello del ragazzo. Il film di Carlo Francisco Manatad stupisce, in primis, per gli innesti surreali che alimentano una realtà tragica, ma ancora viva. Un carosello di figuranti e situazioni al limite dell’irreale (processioni religiose con figure cristologiche improvvisate, orde di bambini gioiosi, canti e festeggiamenti natalizi fuori luogo, una colonna sonora stranamente moderna e allegra), stabilisce il tono di una storia, e un paese, sfaccettato. Il tutto rende ancor più sincero il cammino intrapreso dal protagonista (come anche quello della fidanzata e della madre), il quale vorrebbe sfruttare la nave che porta a Manila come opportunità per una nuova vita. La suddetta nave diventa si configura quindi, nel finale, come una sorta di arca di Noè, popolata esclusivamente da chi rappresenta il futuro della nazione.
CONCORSO EXTRA’A
Oltre alla replica di Amuka, primo lungometraggio di Antonio Spanò già apprezzato ieri, il Concorso EXTR’A continua a riservare pellicole d’interesse, poiché perfettamente coerenti con l’obiettivo della sezione: mostrare l’Africa, l’Asia o l’America Latina attraverso l’occhio di registi italiani o analizzare i temi che ruotano alla multiculturalità in Italia. Della seconda categoria fa sicuramente parte America non c’è di Davide Marchesi, il quale lascia ad un gruppo di giovani italiani di origine africana la guida del racconto. Sono le loro esperienze di vita vissuta, a partire dall’infanzia per arrivare alle proteste organizzate all'inizio dell'estate 2020 a sostegno del movimento Black Lives Matter, a dipingere un Italia ancora ben lontana dall’oscuro spettro del razzismo. Sicuramente meno esplicito e violento di quello americano, esso esiste e persiste tutt’oggi anche nel nostro paese. Piccolo atteggiamenti basati su pregiudizi e parole dette senza pensare alle conseguenze, sono solo alcuni dei motivi per il quale spesso, ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma da genitori (o addirittura nonni) africani, sono costretti a vivere da estranei nel loro stesso paese.
Rivolge il suo interesse al Messico invece Giuseppe Carrieri, regista de La leggenda dell’albero segreto. A partire da un’idea di Massimo De Giuseppe, prodotto con l’aiuto di IULMovie LAB, l’analitico, e al contempo spirituale, documentario, si basa su uno stimolante paragone tra Italia e Messico. Se il paese nordamericano tratta il cacao come un alimento essenziale, anche perché legato ad un’antica leggenda maya, il quale vuole che il cacao fosse uno degli oggetti originariamente consegnati da delle misteriose divinità durante la genesi dell’umanità, in Italia invece si sta cercando di “generare” una pianta di cacao sintetica allo scopo di esportare la produzione di cacao in tutto il mondo. Il confronto tra i due paesi alimenta quindi un’opposizione tra il ruolo riservato alla pianta di cacao dalla religione rispetto a quello datogli dalla scienza: reliquia da conservare e alimentare o risorsa essenziale dello sviluppo del pianeta?
I FILM DEL GIOVEDÌ
La settima giornata sarà ancora ricca di film del concorso principale (El árbol rojo di Joan Gómez Endara, Children of the Mist di Diem Ha Le e Nous, étudiants! di Rafiki Fariala) e dei corti inseriti prima della loro proiezione (Qu’importe si les bêtes meurent di Sofia Alaoui, Astel di Ramata-Toulaye Sy e Le départ di Saïd Hamich). Continua anche il Concorso EXTR’A con le prime apparizioni nel festival di Rue Garibaldi di Federico Francioni, The Nightwalk di Adriano Valerio, Capitan Didier di Margherita Ferri, Free Town di Pietro Malegori, Ai bambini piace nascondersi di Angela Norelli e Un usage de la mer di Fabrizio Polpettini.
CONCORSO CORTOMETRAGGI AFRICANI
Home di Myriam Uwiragiye Birara, primo corto della giornata, è un intenso e vigoroso ritratto delle ingiustizie subite dalle donne ruandesi, merci di scambio in matrimoni combinati che rappresentano la fine di una vita, forse mai veramente iniziata. Sin da bambine infatti, viene insegnato loro come essere delle ottime moglie per i loro futuri mariti. Kamana, solo uno delle tante che condivide questo destino, prova a salvarsi dal marito violento rivolgendosi alla sua famiglia. Ciò che trova non è però una famiglia amorevole: le parole del fratello nel finale, unite al viso sofferto e dolente della magnifica protagonista, portano lo spettatore a provare un sentimento di disgusto quasi impossibile da sopprimere.
Morad Mostafa, regista di Khadiga, non si tira indietro di fronte ad uno dei crimini più aberranti concepibili dall’essere umano: l’infanticidio. Ancor più coraggiosa è la preparazione dell’empio atto: lucida nel ridurla ad una conseguenza, quasi naturale, di una vita senza affetti, appesantita dalla totale responsabilità di crescere un figlio senza alcun aiuto, sia fisico che mentale. Nonostante la giovane protagonista abbandoni una parte di sé, la scissione interiore sembra quasi essere controllabile. Il solo dubbio che sia possibile, fa rabbrividire lo spettatore.
Sorprende la cortissima opera di Fan Sissoko, On The Surface. La semplicità dell’animazione culla l’occhio e lascia libero l’orecchio di farsi trasportare dai fiumi di parole, i quali si rivelano una sentita e poetica confessione della regista. Bastano soli quattro minuti a trasmettere tutte le difficoltà dell’essere una giovane immigrata. Trovandosi a metà strada tra la cultura del luogo e quella di origine della madre, Fan si ritrova alla deriva del mare islandese. Imparare a dominarlo, esattamente come la paura, rappresenta il primo passo per costruire delle nuove radici.
Hot Sun, titolo del corto di Joash Omondi, è la letterale traduzione in inglese del termine “Jua Kali”. L’espressione è però utilizzata per indicare quei lavoratori che possono sistemare qualsiasi cosa e quindi, all’interno di questa categoria, rientrano tutti coloro che si occupano delle pulizie domestiche. Il regista sceglie di osservare la loro prospettiva sul mondo poiché costituiscono un punto di incontro attraverso la quale mostrare sia i privilegiati, che le persone che lavorano per loro. Si viene a costruire un puzzle di vari episodi, tutti di scene quotidiana che, senza l’uso di alcuna parola, mostrano proprio attraverso la prossimità di questi due mondi, l’infinita differenza che li separa.
CONCORSO LUNGOMETRAGGI “FINESTRE SUL MONDO”
Primo pellicola della giornata presente nel Concorso Lungometraggi “Finestre sul mondo” è Amparo di Simón Mesa Soto. Il titolo, prende il nome dell’assoluta protagonista, il 4:3 invece inquadra il suo volto, unico punto catalizzatore dell’attenzione dello spettatore. È attraverso di esso che comprendiamo il suo amore per il figlio (arruolato a forza nell'esercito per essere inviato in una zona di guerra molto pericolosa), il disprezzo nei confronti dell’istituzioni i quali, “rapiscono” Elias, ma accettano volentieri un riscatto per liberarlo, la stanchezza causata dal lavoro e la tristezza derivata dalle vessazioni alla quale è costantemente costretta, in primis dalla madre che non perde mai occasione per rimproverargli la cattiva educazione dei nipoti. Non stupisce quindi che durante lo scorso Festival di Cannes, Sandra Melissa Torres, sia stata premiata con il Premio Rising Star alla miglior attrice emergente. Il suo volto prismatico cattura la luce e l’oscurità che la circonda e la restituisce al pubblico con una performance memorabile, incorniciata, come detto, con grande maestria dal regista che, in più di un’occasione, sceglie di utilizzare l’attrice come specchio degli avvenimenti, mostrandoceli quindi in una forma filtrata e maggiormente ricca.
Dopo esser stato presentato nel Festival di Cannes 2021 e aver raccolto svariati premi nel mondo (come nei festival di Toronto e Oslo), arriva finalmente la prima proiezione nelle sale italiane di The Gravedigger’s Wife di Khadar Ayderus Ahmed, apprezzatissima love story a sfondo sociale ambientata nella periferia della città di Gibuti. Qui, Guled cerca di provvedere alla moglie Nasra e al figlio Malad, lavorando come becchino. La situazione diventa ancor più difficile quando è costretto a trovare, in brevissimo tempo, i soldi necessari per pagare l’operazione che potrebbe salvare la vita della moglie. Alla ricerca della somma di denaro necessaria, egli intraprende un viaggio, attraverso l’ipnotizzante deserto che lo separa dalla sua famiglia originaria (dalla quale era fuggito). Nonostante sia una coproduzione europea, il film, grazie alla regia di Ahmed (somalo immigrato in Finlandia), sfida il tradizionale sguardo cinematografico europeo sull'Africa. Egli infatti, non si sofferma esclusivamente sulla miseria del suo continente ma cerca di raccontare la storia dell’incredibile amore tra Gueld e Nasra, con dignità e tenerezza. Certo nel film emergono tutte le problematiche proprie del Gibuti e dell’Africa intera ma questo, secondo il regista, non deve inficiare la delicatezza e la poesia insite nel ricordo del loro amore.
Bizzarro ibrido tra “coming of age” e film apocalittico, Whether The Weather Is Fine narra del viaggio di Miguel tra le macerie della sua Tacloban, colpita da un tifone. Nel percorso incontra e, successivamente si libera della madre e della fidanzata, impegnate in percorso di ricostruzione personale diverso da quello del ragazzo. Il film di Carlo Francisco Manatad stupisce, in primis, per gli innesti surreali che alimentano una realtà tragica, ma ancora viva. Un carosello di figuranti e situazioni al limite dell’irreale (processioni religiose con figure cristologiche improvvisate, orde di bambini gioiosi, canti e festeggiamenti natalizi fuori luogo, una colonna sonora stranamente moderna e allegra), stabilisce il tono di una storia, e un paese, sfaccettato. Il tutto rende ancor più sincero il cammino intrapreso dal protagonista (come anche quello della fidanzata e della madre), il quale vorrebbe sfruttare la nave che porta a Manila come opportunità per una nuova vita. La suddetta nave diventa si configura quindi, nel finale, come una sorta di arca di Noè, popolata esclusivamente da chi rappresenta il futuro della nazione.
CONCORSO EXTRA’A
Oltre alla replica di Amuka, primo lungometraggio di Antonio Spanò già apprezzato ieri, il Concorso EXTR’A continua a riservare pellicole d’interesse, poiché perfettamente coerenti con l’obiettivo della sezione: mostrare l’Africa, l’Asia o l’America Latina attraverso l’occhio di registi italiani o analizzare i temi che ruotano alla multiculturalità in Italia. Della seconda categoria fa sicuramente parte America non c’è di Davide Marchesi, il quale lascia ad un gruppo di giovani italiani di origine africana la guida del racconto. Sono le loro esperienze di vita vissuta, a partire dall’infanzia per arrivare alle proteste organizzate all'inizio dell'estate 2020 a sostegno del movimento Black Lives Matter, a dipingere un Italia ancora ben lontana dall’oscuro spettro del razzismo. Sicuramente meno esplicito e violento di quello americano, esso esiste e persiste tutt’oggi anche nel nostro paese. Piccolo atteggiamenti basati su pregiudizi e parole dette senza pensare alle conseguenze, sono solo alcuni dei motivi per il quale spesso, ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma da genitori (o addirittura nonni) africani, sono costretti a vivere da estranei nel loro stesso paese.
Rivolge il suo interesse al Messico invece Giuseppe Carrieri, regista de La leggenda dell’albero segreto. A partire da un’idea di Massimo De Giuseppe, prodotto con l’aiuto di IULMovie LAB, l’analitico, e al contempo spirituale, documentario, si basa su uno stimolante paragone tra Italia e Messico. Se il paese nordamericano tratta il cacao come un alimento essenziale, anche perché legato ad un’antica leggenda maya, il quale vuole che il cacao fosse uno degli oggetti originariamente consegnati da delle misteriose divinità durante la genesi dell’umanità, in Italia invece si sta cercando di “generare” una pianta di cacao sintetica allo scopo di esportare la produzione di cacao in tutto il mondo. Il confronto tra i due paesi alimenta quindi un’opposizione tra il ruolo riservato alla pianta di cacao dalla religione rispetto a quello datogli dalla scienza: reliquia da conservare e alimentare o risorsa essenziale dello sviluppo del pianeta?
I FILM DEL GIOVEDÌ
La settima giornata sarà ancora ricca di film del concorso principale (El árbol rojo di Joan Gómez Endara, Children of the Mist di Diem Ha Le e Nous, étudiants! di Rafiki Fariala) e dei corti inseriti prima della loro proiezione (Qu’importe si les bêtes meurent di Sofia Alaoui, Astel di Ramata-Toulaye Sy e Le départ di Saïd Hamich). Continua anche il Concorso EXTR’A con le prime apparizioni nel festival di Rue Garibaldi di Federico Francioni, The Nightwalk di Adriano Valerio, Capitan Didier di Margherita Ferri, Free Town di Pietro Malegori, Ai bambini piace nascondersi di Angela Norelli e Un usage de la mer di Fabrizio Polpettini.
A cura di Enrico Nicolosi